Fallimento di lanci astrali (10)

Si è avuta negli ultimi tempi una serie di insuccessi di tentativi annunziati per porre in orbita nuovi satelliti, e in ispecie per avviare il razzo, di cui si parla da tempo, che dovrebbe raggiungere la distanza della Luna e poi, secondo quanto si vanta, mettersi a girare attorno alla stessa. Secondo gli americani si sarebbe già al punto di poter non solo fare passare il corpo lanciato dietro la Luna, ma di fotografare la faccia che dalla Terra è sempre invisibile, e perfino mostrarla all'umanità in una trasmissione televisiva.

Prima che il lancio del complicato ordigno si risolvesse in una totale disintegrazione al primo stadio, si dichiarò che vi era una sola probabilità su dieci di successo. Che cosa si voleva dire? Forse vi è meno di una probabilità su dieci per la riuscita di un lancio che porti un proiettile fuori della attrazione terrestre. Dopo sorge il quesito sulla sorte di questo corpo, e noi crediamo quasi impossibile fare sì che esso giri attorno alla Luna anziché perdersi negli spazi interplanetari senza più ritorno.

Per rimediare al loro insuccesso gli americani hanno detto che i russi tentarono un simile lancio il I° Maggio, e tacquero l'esito fallimentare.

Adesso temono che in settembre, quando la Luna sarà di nuovo alla minima distanza dalla Terra (la differenza non arriva al dieci per cento) i russi faranno più presto a lanciare la cannonata alla Luna.

Per rimediare hanno invano fatto partire il satellite Explorer V, che, se si fosse messo in orbita, avrebbe portato a tre le lune artificiali d'America contro il solo Sputnik III dei russi. Ma anche qui hanno fallito.

L'inguaribile mania pubblicitaria ha indotto gli Stati Uniti a tentare un'altra stamburata proprio mentre avevano potuto vantare il successo della traversata del Mare Polare Artico al disotto della banchisa di ghiaccio, impresa questa veramente seria sotto il punto di vista della calcolazione scientifica e del risultato tecnico del tutto conforme al piano, che ha significato un controllo completo della teoria e dell'organizzazione in un campo veramente complesso, e una riuscita al disopra di ogni critica.

Gli americani sono in contraddizione quando dicono che tali esperienze vanno annunciate prima, nell'interesse della scienza e della cultura generale, senza temere di ammetterne l'insuccesso se il tentativo fallisce. Perché, se questo è giusto - come lo è - , non hanno annunziato prima il progetto di attuare la traversata artica sottomarina? Quando la scienza non era strettamente legata ad interessi mercantili di classe, furono annunziati davanti a tutto il mondo gli storici tentativi di trovare i passaggi di Nord-est e di Nord-ovest, e di raggiungere il polo geografico, e l'umanità non ammirò i tornati indietro vinti ed i caduti meno dei trionfatori.

Poiché pare si vada verso l'embrassons-nous generale (gli scienziati hanno ad esempio dalle due parti osservata la consegna di garantire tecnicamente sicuro il controllo delle prove nucleari, il che è assai discutibile) i russi hanno voluto uscire dall'ermetismo sul loro unico satellite in corsa. Annunziano che la vita ne sarà solo di 18 mesi, e finalmente dicono a chiare note quello che fin dal primo momento era chiaro, e noi in brevi note da profani sostenemmo, che un moto permanente era impossibile con una bassa altezza perigea. Dicono finalmente ( Unità del 23 agosto) le umili verità: quanto più grande è il periodo di rivoluzione iniziale del satellite, tanto più lunga sarà la sua durata. Questo significa, lo abbiamo detto tante volte, che un satellite ben riuscito deve girare sull'orbita a bassa velocità, mentre si è ritenuto più demagogico e di effetto pubblicitario-propagandistico vantare le enormi velocità impresse dalle sensazionali attrezzature, gli otto e più chilometri al secondo contro il solo chilometro della impassibile e incadibile Luna vera.

Avendo ammesso quel notissimo concetto della meccanica, ne segue che il satellite più riuscito e di più lunga durata è il piccolissimo americano Vanguard, sebbene sia discutibile la pretesa che girerà per due secoli. La sua altezza perigea è di gran lunga la massima.

Tornando al proietto che non si vuol destinare a descrivere intorno alla Terra un'orbita ellittica, ma ad andare più su della Luna, il dato base della questione è noto da molto tempo e si deduce dagli enunciati delle leggi di Keplero e di Newton. Un corpo lanciato dalla superficie terrestre con una velocità non inferiore a 11.174 metri al minuto secondo, pari a 40.000 km all'ora, non descrive una curva chiusa ma un ramo di iperbole, che è una traiettoria aperta, allontanandosi sempre più dal punto di partenza. Se non intervengono nuove forze attraenti può andare più lontano della Luna e anche del Sole.

Nel caso più semplice, sparando il corpo in verticale, esso descrive una retta e non si fermerà mai.

Il problema si riduce ad imprimere ad un oggetto una tale velocità. Verne, che come scrittore di fantascienza era più serio di tutti i successori, si tenne al lancio verticale e immaginò la Columbiade, una immensa canna di artiglieria forata nella terra. Fece poi i calcoli del caso sul percorso del proiettile e sulla eventualità che esso incontrasse la Luna, tenendo conto del moto della stessa intorno alla Terra e del tempo di alcuni giorni necessario al percorso. Fu lui che per girare la difficoltà dello scontro catastrofico immaginò che, ad opera del caso, il proietto sfiorasse solo la Luna e ne divenisse per un dato tempo un satellite.

Affermiamo che per ora non un calcolo ma solo un caso, poniamo con un decimo di probabilità utili - quando la velocità minima indicata sia stata impressa - può far avvenire la scelta tra le diverse ipotesi. Primo: la mira è giusta e il proiettile si frantuma sulla faccia della Luna. Secondo: la mira è mancata, ma la velocità insita nel proiettile vince l'attrazione della Luna e questo se ne va oltre per sempre. Terzo: il proiettile passa tanto vicino che resta attratto come satellite perpetuo della Luna. Quarto, e quasi assurdo, ciò che molti disegni fumettistici hanno mostrato: il proiettile dopo alcuni giri intorno alla Luna ricade sulla Terra, ove si schiaccerebbe distruggendosi o si brucerebbe nell'atmosfera, dato che riprenderebbe la velocità di oltre 11.000 metri al secondo al suo arrivo.

Giulio Verne batte gli attuali fantascienziati e anche i vari uffici tecnico-scientifici militari anche per un'altra questione: dove prendere l'energia di propulsione per imprimere la velocità iniziale? Sul fondo della Columbiade, la carica di fulmicotone non faceva parte del corpo viaggiante, come in ogni pezzo di artiglieria. La lunghezza poi della canna permetteva di passare dalla velocità zero a quella di lancio suddetta con una certa accelerazione, che il romanziere ritenne sopportabile dagli uomini chiusi nel proietto.

Oggi invece il proiettile parte con i propri mezzi, creando il grave problema del razzo a più stadi. Partono decine di tonnellate a velocità ridotta, accelerano per effetto di motori a reazione come quelli degli aviogetti, si staccano in pezzi successivi finché un leggero corpo finale scatta via con la velocità massima. L'enorme sciupio di peso morto e di energia si deve al fatto che fino alla velocità, poniamo, di alcuni chilometri al secondo la forza viva relativa deve essere impressa a decine di tonnellate di involucri e di carburanti chimici ed ossigeno, liquido o meno, che in parte si esauriscono nella combustione, in parte ricadono giù.

Oggi che si fanno trivellazioni incredibili al tempo di Verne, non era l'idea della Columbiade più intelligente di quella del razzo a più stadi? Noi attenderemo con scetticismo che quest'ultimo rompa il "muro" degli 11.174 metri.

Forse un tale risultato si avrà solo quando si potrà muovere il proietto con l'energia nucleare. Ma la tecnica attuale sa usare questa solo sotto due estremi: uccidere un milione di persone, o scaldare una caldaia a vapore ultrapesante. Deve quindi passare molta acqua sotto i ponti.

Con la corrente energia chimica dei più ricchi combustibili il bilancio fisico dell'operazione è irrazionalissimo. Per lanciare un chilogrammo di materia a quella velocità occorre spendere un'energia che dalla fisica elementare risulta di circa sei milioni e mezzo di chilogrammetri. Bruciando un chilo del migliore carburante, e non pretendendo di veicolare altro, si hanno 11.000 grandi calorie. Per il principio della conservazione dell'energia nei limiti degli scambi chimici a tale quantità di calore corrisponde un lavoro meccanico di 4.700.000 chilogrammetri, ossia meno (a parte che con qualunque motore la più gran parte del calore va perduta nella trasformazione in lavoro) dell'energia da imprimere al corpo autolanciante.

La tecnica dei motori a combustione di qualunque tipo dà una certa autonomia a tutti i veicoli terrestri, marini ed aerei, ma cade dinanzi al veicolo spaziale. Solo quando il proietto avrà un'autonomia del grado di quella del Nautilus atomico, potrà forse partire portandosi la sua riserva di energia. Per altra via non crediamo che riescano né americani né russi.

Un'ultima considerazione. La troppa quantità di energia da sprigionare esclude ogni regolazione, e il massimo risultato prevedibile è quello che il corpo si perda o contro la Luna o nello spazio. Ogni altra previsione è bassa pubblicità come quella di televedere il retro della Luna, che non si lascerà prendere per esso.

La complessità dell'apparecchiatura, dovuta a enfiagione commerciale arrivistica e politica, ne è prova. Trecentomila pezzi! Uno non ha funzionato, dicono i risibili esperti, ma quale non possiamo dire! Ognuno è l'esperto di una dozzina di "pezzi".

I nuovi balzi della scienza si fanno con attrezzi a pochi pezzi. Sarà leggenda, ma Newton avrebbe scoperta la gravitazione universale senza la cui conoscenza si potrebbero smontare tutti gli uffici di Cape Canaveral, quando gli cadde sulla testa una mela: pezzo uno. Galileo scoprì le leggi del pendolo vedendo oscillare una lampada nel duomo di Pisa. Leggenda? Nel senso che il pendolo su cui fece le misure era molto più rudimentale: un sasso, uno spago, un chiodo: pezzi tre.

Signori scienziati di questa epoca di coglionature: provate a tirare sulla Luna con qualche pezzo di meno!

Da "Il programma comunista" n. 17 del 1958

Note

[1] Per gli Americani vi era un 10% di probabilità di successo dell'intera missione intorno alla Luna, ma dopo appena 77 secondi dal lancio esplose il primo stadio. Se si facesse il conto dei fallimenti in quel tipo di tentativi, le probabilità di successo completo si dimostrano a cose fatte molto meno del 10%. Oggi la percentuale media di successo nei lanci è intorno al 98%, mentre nei lanci commerciali con vettori collaudati sfiora il 100%.

[2] Il sommergibile nucleare Nautilus a partire dal 1956 aveva percorso 3.200 km in immersione sotto la banchisa polare seguendo una rotta che andava dallo Stretto di Bering alla Groenlandia. Il "piano" consisteva in una crociera sperimentale di 26 mesi e 96.000 km quasi tutti in immersione.

[3] Erano stati in effetti ideati cannoni elettromagnetici e acceleratori di massa che avrebbero potuto far raggiungere altissime velocità ai proiettili. Prove di laboratorio hanno portato piccole masse di acciaio alla velocità di 3.000 m/sec., ma teoricamente, fuori dall'atmosfera, si potrebbero raggiungere i 10.000. A queste velocità l'attrito con l'aria sarebbe enorme e ogni proiettile brucerebbe, come bruciano i corpi che dallo spazio cadono sulla Terra. I cannoni elettromagnetici sono tornati alla ribalta durante la Guerra del Golfo, quando si suppose che Saddam Hussein avesse acquistato quella tecnologia per l'utilizzo in campo militare. Si stanno sperimentando treni a levitazione magnetica che utilizzano gli stessi principii.

[4] Nel 1958-59, negli Stati Uniti, furono stanziati 30 milioni di dollari per un impianto sperimentale di motori atomici in Nevada. Uno di tali motori fu montato su un aereo Convair B36, ma solo per prova, perché le schermature avrebbero appesantito troppo il sistema. Le prove effettive con un motore (Kiwi) che utilizzava la pila di un sommergibile nucleare furono condotte a terra mediante un treno radiocomandato per via dell'alta radioattività, ma l'intero progetto fallì dopo pochi mesi per l'impossibilità di ricavare energia sufficiente dagli scambiatori di calore. Motori nucleari a razzo con flusso di idrogeno inerte surriscaldato dalla reazione atomica sono stati sperimentati in seguito, ma a tutt'oggi non sembra possano avere un futuro. Il fisico nucleare Carlo Rubbia, in un seminario pubblico al CERN di Ginevra, ha presentato nell'estate del 1998 la teoria per un motore a "frammenti di fissione". Esso si dovrebbe basare su di una camera di combustione foderata di americio, in cui una reazione nucleare surriscalderebbe dell'idrogeno proveniente da normali serbatoi, producendo plasma a due o trecentomila gradi di temperatura. Il getto di plasma raggiungerebbe un'elevatissima velocità di eiezione ("Prossima destinazione pianeta Marte", in La Repubblica del 29 agosto 1998 e "Rubbia: vi porto su Marte in 45 giorni", Corriere della sera, 20 settembre 1998).

[5] Riusciranno proprio per questa via, ingigantendo i vettori ed esasperando la quantità d'energia erogata. Il vettore che portò in orbita il Vanguard citato negli articoli precedenti pesava a pieno carico 10.200 Kg; il Thor, che fece il primo tentativo americano di avvicinare la Luna senza carico utile, pesava 52.000 Kg (se ne parla in questo articolo e nel seguente); il Saturno V, vettore delle missioni con equipaggio Apollo per la Luna, pesava 3.000.000 di Kg.

[6] Il disastro della navetta Challenger, che nel 1986 andò perduta con tutto l'equipaggio di sette membri subito dopo il lancio, fu dovuto ad un nuovo progetto che limitava drasticamente l'immane numero di componenti raggiunto dai veicoli spaziali fino alle missioni Apollo (diversi milioni). Tali componenti erano diventati tanto sofisticati e sensibili che dovevano essere multipli per via della sicurezza, quindi estremamente costosi. Com'era prevedibile, a causa della tendenza al risparmio di capitale costante i pezzi furono semplificati e diminuiti di numero a scapito della sicurezza, e l'intero vettore si disintegrò a causa di una banale guarnizione, bruciata durante la combustione dei razzi primari di spinta.

[7] Si potrebbe dire della teoria della relatività: pezzi nessuno. Einstein era fermamente convinto che le maggiori scoperte scientifiche comportassero necessariamente la semplicità. E' evidente che qui si fa un discorso per paradossi, sottolineando che il gigantismo è nemico del rendimento, e il miglioramento di quest'ultimo dimostra sempre un miglioramento tecnologico (il quale, tra l'altro, non dimostra affatto che si avanza altrettanto nel campo dell'epistemologia).

La cosiddetta conquista dello spazio