Mai la merce sfamerà l'uomo (10) (CXXIX)

X. Terra vergine, capitale satiro

La prima forma

Abbiamo svolta la prima forma della rendita differenziale dei terreni agrari. Essa risponde al confronto tra diversi terreni mano mano messi a coltura per la necessità di alimentare popolazione maggiore e che sono inevitabilmente di diversa fertilità, ossia che per l'impiego dello stesso lavoro danno prodotto diverso. E' chiaro che ogni società umana, se vi fosse non solo terra illimitata, ma terra illimitata per ogni "tipo" di fertilità, coltiverebbe solo la terra più fertile di tutte e si nutrirebbe col minimo di lavoro.

"Al limite", se vi fosse una terra così fertile da dare frutti senza lavoro a quanti si voglia uomini da alimentare, questi potrebbero vivere a bocca aperta ai piedi degli alberi quasi miracolosi: il lavoro si ridurrebbe a quello dei muscoli che azionano le mandibole. A nessuno verrebbe in mente di stabilire monopoli sulla terra e di fare la fatica di una recinzione attorno all'albero a cui mangia.

Nel caso più verosimile dei terreni A, B, C, D di crescente produttività a pari sforzo di lavoro, se di ognuno ve ne fosse in quantità, in estensione illimitata, si lavorerebbe dalla comunità solo sui terreni del tipo D, che danno quadruplo frutto a pari pena di lavoro. Essendo il grano da raccogliere in ragione del numero dei membri della società, è chiaro che questa potendo trovare terreno D quanto ne vuole lavorerà la quarta parte del tempo che se dissodasse terreni tipo A, dal minimo prodotto.

Comunque crescendo gli uomini, e se volete il loro appetito, fino a che la terra non è limitata, ossia monopolizzata, la prima ovvia soluzione non è di ottenere più frutto da uno stesso terreno, ma di occupare altro terreno.

Questo fenomeno a Marx importa esaminarlo in epoca ed ambiente capitalistico moderno, ossia nell'ipotesi che chi lavora non disponga del prodotto, né individualmente né collettivamente, ma ne riceva dalla "azienda agraria" un tanto erogando tempo di lavoro in certa misura.

Nella prima forma una tale economia provvede alla sua estensione con la messa a coltura di nuovi terreni. Ben presto storicamente tutta la terra disponibile sarà stata impegnata e se si vorrà più grano per alimentare più bocche, non si potrà che far produrre di più la terra già coltivata: ciò si deve esaminare nella seconda forma.

Nella prima abbiamo dimostrato che, essendo lo scambio mercantile secondo la legge degli equivalenti, essendo la produzione agraria organizzata capitalisticamente con imprenditori agrari o fittavoli, e contadini soltanto salariati, avendo fatta l'ipotesi che tutta la terra, messa o non messa a semina, è ormai oggetto di privata proprietà, dato che esistono terreni di diversa fertilità, si genera la rendita differenziale, mano mano che dal terreno meno fertile A si passa ai migliori B, C, D.

La legge differenziale

Le leggi stabilite dicono che il prezzo di produzione, o regolatore, del grano calcolato per il terreno più sterile A determina il prezzo di vendita di tutto il grano. A resta senza rendita, gli altri tre terreni hanno rendite successivamente crescenti.

Le dettagliate analisi dei vari casi, ossia che si pongano a coltura successivamente terreni migliori o peggiori, o in ordine alterno, mostrano che la causa "differente fertilità" genera l'effetto "differente rendita".

Quale la relazione tra causa e effetto? La più semplice sarebbe la proporzione; se raddoppia la fertilità raddoppia la rendita. Ma lo specchio fondamentale, il Quadro I di Marx, su cui si poggia tutta la costruzione, sta a mostrare che la forma di tale legge è ben diversa. I quattro terreni danno il prodotto 1, 2, 3, 4 in misure di grano. Le rendite non sono 1, 2, 3, 4 o valori proporzionali, ma zero scellini, sessanta scellini, centoventi scellini, centottanta scellini, ossia si possono raffigurare coi numeri zero, uno, due, tre. Contro, ripetiamo, uno, due, tre, quattro. Appunto: questa regoletta non è proporzionale ma differenziale. Che vuol dire ciò? Supponiamo che io sappia la rendita (di 60 scellini) del terreno 2 (B) e mi domandi quella del terreno 3 (C). Se ragiono che deve crescere, in rapporto a 60 scellini, secondo il prodotto che è 3 invece di 2, dirò che la rendita di C è 90 scellini. Avrò detta allora una fesseria: il fatto non è nuovo né grave per nessuno di noi. Ma l'avrò detto socialmente nel senso che avvantaggia il proprietario fondiario borghese; avrò politicamente fregato il mio partito rivoluzionario. Ecco il male.

Devesi dunque ragionare in altro modo, e dire: l'aumento di rendita da B a C dipende dall'aumento di fertilità da B a C, come avveniva per l'aumento di rendita da A, terreno base, a B. B rispetto ad A guadagna una misura di fertilità e così fa C rispetto a B. Ora se B rispetto ad A guadagna rendita per 60 scellini, lo stesso deve fare C rispetto a B. Allora 60 più 60 fa 120, non già 90. Fesso che ero! e furbo il rentier!

In parole: non è vero che la rendita cresce con la fertilità, ma la differenza tra due rendite sta in ragione della differenza tra due fertilità.

Questo principio della rendita differenziale è lo stesso stabilito da Galileo colla relatività dei moti uniformi. Egli non disse più che le distanze del mobile da un punto fermo sono in proporzione dei tempi della sua corsa, ma che le distanze tra due successive posizioni stanno in proporzione alle differenze tra i tempi misurati nelle due posizioni. Non è la stessa cosa.

L'algebrista esprime la prima legge con s (spazio) uguale v (velocità costante) moltiplicato t (tempo). Da Newton-Leibniz chi usa il comodo utensile del calcolo infinitesimale (che sta come il rasoio elettrico alla primitiva pietra dura affilata: è a maneggiar questa seconda che ci vuole un Figaro-genio, il primo è per il fesso qualunque come noi) dice invece: delta s (differenziale dello spazio) uguale v (velocità costante) moltiplicato delta t (differenziale del tempo).

Legge di Marx: differenziale della rendita uguale una costante moltiplicata per il differenziale della fertilità.

Piccolo il passo avanti?! Era più agevole sapere la rendita assoluta e non il suo differenziale?! Più facile? non siamo a scuola perdio, ma nella lotta storica. Quel passo fatto da Galileo fonda la dottrina di tutti i moti anche a velocità non uniforme e con essa la fisica moderna, scienza del tempo dell'utensile e del motore meccanico. A Marx riesce possibile su tale base passare alla seconda forma, ossia ammettere che il capitale, costante nella prima, vari; che il prezzo di produzione regolatore, costante nella prima, a sua volta vari, il che andiamo a vedere. Egli così dà le leggi per lo studio della forma economica capitalistica agraria e no (direbbero ora), contemporanea a lui e futura; smaschera la soubrette concorrenza e dà la esauriente teoria del tiranno monopolio; toglie parola ed impiego ad ogni buffonesco correttore, dalla nascita del capitalismo all'avvento del comunismo al mille per mille.

Non lasceremo questo indugio sulla filosofia della rendita differenziale senza un'applicazione della detta legge di Marx al nostro esempio, aggiornato a dati concreti di oggi. Nello specchio da noi pubblicato alla precedente puntata il terreno C produceva quintali 7 ed il D quintali 7,75. Sapendo la rendita di C in 16.000 lire all'ettaro, mi chiedo la rendita di D. Se inavvedutamente facessi la proporzione troverei che la rendita di D è L. 17.700 (la regola del 3 dà infatti 16.000 x 7,75 : 7 = 17.700).

Devo invece prima sapere la fertilità di A, terreno base con rendita zero, che è 5 quintali. Allora dirò che la differenza di fertilità per il terreno C è 7-5 ossia 2, mentre per D è 7,75-5, ossia 2,75. Quindi alla differenza di rendita tra A e C che è 16.000 (meno zero) corrisponde una differenza di rendita tra A e D, in ragione ovviamente di 8.000 lire per ogni quintale in più. Ma quella differenza di fertilità è 2,75 al posto di 2; ai quintali 0,75 in più corrispondono 6.000 lire. Tale l'aumento di rendita passando da C a D; e quindi questo terreno rende 22.000, come nel quadro dato e non 17.700. Il fondiario si era fregato ben 4.300 lire, per anno e per ettaro. Roba da ufficio agrario del PCI.

Potevo anche partire dai dati di B che sono 6,50 quintali, 12.000 lire di rendita. C guadagna su B mezzo quintale e 4.000 lire, ossia 8.000 a quintale. D guadagnando ulteriori 0,75 sale come detto di 6.000 e va da 16.000 a 22.000.

Le cifre assolute conducono i cercatori del vero nelle alte regioni della coscienza e dello spirito, sede sola e immarcescibile degli assoluti valori.

Noi crediamo invece solo ai differenziali e di essi soli facciamo scienza. Essi ci conducono a constatare le fottiture della realtà.

Ma la "sfiziosa" politica?

Molti lettori seguono con pazienza queste deduzioni e sviluppi e fanno del tutto per adattarsi alle evoluzioni tra aritmetica, letteratura di partito, storia e anche filosofia. Tuttavia hanno l'aria di chiederci: ma alla politica quando ci si arriva? All'attitudine da tenere verso i vari ceti della campagna, alla valutazione sociale e politica oltre che dei proprietari, dei fittavoli e dei braccianti, anche dei piccoli coloni e mezzadri, dei piccoli proprietari, all'effetto delle loro aspirazioni e rivendicazioni, della loro pressione collettiva, alla probabilità che siano tanto bravi da darci una mano?

Contro queste impazienze, che ci sovrastano dai tempi dei tempi da un'altezza pari a quella dell'Olimpo da cui Giove tuonava (e contro le quali in verità ci dibattiamo invano ricadendo sempre col sedere per terra non meno di Capaneo o di Prometeo), lanciammo in una puntata precedente un non disprezzabile macigno raccattato dalla madre terra, probabilmente nel terreno A. Era un passo di Marx; vale la pena di ripeterlo.

"Ogni critica della piccola proprietà fondiaria [e ve ne promettiamo tutto il male possibile] si risolve in ultima istanza in critica della proprietà privata [e del suolo, e dei suoi prodotti], come limite e ostacolo per l'agricoltura (...). Naturalmente [è la seconda volta che ci lamentiamo col Maestro che tutto questo va poco naturalmente, con questi chiari di luna] noi negligiamo [vada per il francesismo, dato che è un latinismo: l'originale dice certo vernachlässigen, bella parola che vorremmo tradurre a suono: abbandoniamo al pernacchio] ogni considerazione politica".

Ricordate che aggiungeva il testo?

"Questo limite e questo ostacolo che ogni proprietà privata della terra oppone alla produzione agricola e al trattamento, mantenimento e miglioramento razionali della terra stessa, si esplicano da una parte e dall'altra soltanto in diverse forme [è vero, signori attivisti: le condizioni dei vari paesi, le successive contingenti situazioni, i rapporti concreti di forze politiche, ma sì, ma va bene...] E NELLE DISPUTE INTORNO A QUESTE FORME SPECIFICHE DEL MALE SI FINISCE COL DIMENTICARNE LA CAUSA ULTIMA [ il male della proprietà]".

Ora solleviamo un altro macigno cercando di scaraventarlo in alto contro il panciuto Giove-Tecoppa del politicantismo. E' Lenin che scrive, nella fine del 1907, a rivoluzione battuta, sul programma agrario del partito.

"Il grave difetto di quasi tutta la stampa socialdemocratica sulla questione del programma agrario in generale, (...) sta nel fatto che le considerazioni pratiche hanno il sopravvento su quelle teoriche, le considerazioni politiche su quelle economiche".

Lenin? Già, Lenin. Ma Lenin non era quello che, colui il quale... Già, si vede che di Lenin (come di Marx) vi cibate su fonti che sono della levatura dei resoconti del processo Muto. Avremo agio di spiegare come la mette Lenin, ortodosso cocciuto peggio di noi. Ecco, in ogni modo, che Lenin vi scusa.

"Come scusa per la maggior parte di noi valgono, naturalmente, l'intenso lavoro di partito nel momento in cui discutevamo la questione agraria nella rivoluzione: in un primo tempo, dopo il 9 gennaio [la strage al palazzo d'Inverno], qualche mese prima dell'esplosione [della insurrezione] ("III Congresso del POSDR" dei bolscevichi, tenutosi a Londra nella primavera del 1905, e contemporaneamente Conferenza della minoranza a Ginevra), poi all'indomani dell'insurrezione di dicembre e a Stoccolma [aprile 1906] alla vigilia della I DUMA".

Ma noi di che siamo all'indomani e di che siamo alla vigilia? Quale la storia che stiamo vivendo? Forse non siamo all'indomani del giacere di Ugo con Anna Maria, alla vigilia del biennio Mario-Clara? Facciamo dunque come Lenin disse.

"Ma oggi questo difetto [difetto, traduttori, o enorme boiata?] dev'essere in ogni caso corretto, e in particolare è necessario esaminare l'aspetto teorico del problema".

Allineatevi senza brontolare per la nuova tappa del tormentato percorso.

La seconda forma

Il testo di Marx mette in rilievo, prima di passare alla valutazione quantitativa, il carattere storico del passaggio dalla forma I alla forma II della rendita differenziale e la maggiore complicazione a cui si va incontro quando il maggior prodotto, resosi necessario alla vita della popolazione, non lo si cerca più in nuove terre messe al lavoro, ma in miglioramenti attuati nelle terre già coltivate con l'apporto di maggior lavoro e capitale.

Molto antico è il dibattito tra agronomi ed economisti a proposito della prospettiva di allargamento della produzione agricola. Alcuni esagerarono sugli effetti del fenomeno dello sfruttamento di terre vergini, ossia sull'esaurirsi progressivo della fertilità dei suoli, che nelle prime annate sono ricchi di secolare chimismo organico e poi lo perdono coi raccolti - gli altri esagerarono nel trasportare le conclusioni della tecnica industriale sulla illimitata possibilità di produrre manufatti facendo nuovi impianti (del che va invece anche cercato il limite fisico e sociale) e affermarono che si poteva bene piazzare non importa qual massa di capitale su un terreno localizzato. Marx ricorda con un sorriso che

"la Westminster Review sosteneva contro Richard Jones, che tutta l'Inghilterra non poteva essere nutrita coltivando Soho Square".

Si tratta della piazza principale del famoso quartiere infimo londinese di Soho; ove albergano cinesi e, come è ovvio, italiani.

Torneremo su questo, il passo essendo fondamentale:

"Se ciò è considerato un particolare svantaggio per l'agricoltura, è vero precisamente il contrario".

Per il momento Marx non risolve il quesito della "produttività" dei successivi capitali che, nella forma II, sono applicati sulla stessa terra. Per esempio sul terreno C della serie base col capitale di 50 scellini si hanno 3 misure di grano e 120 scellini di rendita. Che accadrà se il capitale messo nel terreno raddoppia e diviene 100 scellini? Se raddoppia il prodotto, ossia se i secondi 50 scellini di capitale-lavoro danno anche 3 misure, se ne avranno 6, ma se la produttività è decrescente, se ne potranno avere 3+2 ossia 5, se è crescente 3+4 ossia 7.

Inoltre può accadere che il prezzo di produzione resti costante, il che vuol dire che vi è sempre del terreno A del tipo più sterile, ma può accadere anche che migliorando il terreno A il prezzo regolatore diminuisca, ovvero dissodandosi un terreno ancora peggiore il prezzo aumenti.

Marx discuterà dunque tre casi: Prezzo di produzione; Primo: costante; Secondo: decrescente; Terzo: crescente.

Per ognuno di questi tre casi vi sono tre varianti, a seconda dell'effetto che hanno i successivi investimenti di capitale: ossia produttività costante, decrescente, crescente. In alcuni casi per verificare se possa la rendita tendere ad eliminarsi - come altri economisti credettero conseguire a robusto investimento di capitale di impresa nella terra - si suppone anche che entri in scena un terreno ancora meno produttivo di quello A.

E' il caso di abbordare sobriamente questa massa di numeri. Si tratta di intendere qual è la tesi di Marx: collo sviluppo del modo di produzione capitalistico e coll'investimento di maggior capitale nella terra, solo mezzo di aumentare il prodotto in relazione all'aumento di popolazione, la rendita tende ad aumentare, sia nella massa totale, sia nella media per unità di superficie, a volte in rapporto maggiore di quello del capitale (e del suo profitto), poche volte con ritmo minore di esso.

Ma è prima il caso di esporre alcuni concetti generali di Marx a questo riguardo.

Fecondità pelosa

Investendo i soliti 50 scellini di capitale su quattro diverse aree e quindi 200 scellini, abbiamo visto che si ha il profitto di 40 e la rendita di 360. Ora è palese che questo stesso sopraprofitto estorto al lavoro, di 360 (che ha aumentato del 150 per cento il prezzo del pane contro quello dei manufatti; pagato in ambo i casi, a carico del lavoro salariato, ogni interesse normale di capitale ed utile normale di impresa), questo stesso profitto dunque di 360 sorgerebbe da una sola ara, ove ad esempio sul terreno D oltre i primi 50 scellini (che han dato 4 misure) se ne investissero altri 50 (avendone 3 misure) poi altri 50 (avendone altre due misure) e infine gli ultimi 50 (che convenga investire a tasso medio di profitto, con una ultima misura). Le 4+3+2+1=10 misure con produttività decrescente, ma prezzo costante di 60 scellini, danno i famosi 600 di prodotto, da cui detratti i 200 di capitale e 40 di profitto, emerge sempre il sopraprofitto di 360, prima formato su quattro diverse are. Mentre D rendeva prima 180 per ara, oggi rende il doppio.

"I plusprofitti ed i diversi saggi del plusprofitto per le diverse parti del capitale sono formati nel medesimo modo in entrambi i casi. E la rendita non è altro che una forma di questo plusprofitto che costituisce la sua sostanza. Ma, d'altra parte, con questo metodo si incontrano delle difficoltà, per quanto riguarda la trasformazione del plusprofitto in rendita, per questa conversione di forma che implica il trasferimento del plusprofitto dell'affittuario capitalistico al proprietario della terra. Di qui l'ostinata opposizione degli affittuari inglesi ad una statistica ufficiale sull'agricoltura. Di qui la lotta fra essi ed i proprietari fondiari a proposito dell'accertamento del rendimento effettivo dei loro investimenti di capitale. La rendita viene in effetti stabilita al momento in cui le terre vengono date in affitto, dopo di che i plusprofitti derivanti dai successivi investimenti di capitale affluiscono nelle tasche dell'affittuario, per tutta la durata del contratto. Di qui la lotta dell'affittuario per lunghi contratti di affitto e, in contrasto a questa tendenza, l'accresciuto numero dei contratti denunciabili annualmente dovuti al prepotere dei proprietari terrieri".

In questa questione si incontrano i due concetti: quello della teoria borghese del capitale che considera l'investimento come "immobilizzo" nella terra-patrimonio e quello marxista che considera come capitale impiegato nella produzione agraria quello che anno per anno si spende in lavoro e materie e nel solo logorio degli impianti fissi (che possono essere case coloniche, canali di acqua, ecc.).

Quando il miglioramento non consiste solo in più intensa spesa di esercizio (semente, concime, scorte mobili come animali e macchine di proprietà dell'impresa, denaro anticipato in salario, ecc.), spese tutte che ricompaiono nel prodotto annuo, ma in opere che restano sul fondo, esso dovrebbe essere fatto a spese del proprietario. Quando invece le fa il fittavolo al fine di maggior guadagno, nel tempo dell'affitto stipulato, egli deve tener conto che alla fine non le può più ritirare e nei suoi calcoli la massa dei sopraprofitti differenziali crescenti deve superare questa anticipazione perduta, più gli interessi. Si hanno infatti contratti a miglioria, nei quali un canone più basso di affitto richiesto compensa la aumentata rendita fondiaria che, per maggiore fertilità, potrà dare la terra di cui trattasi, a fitto spirato, in un patto nuovo.

Quindi Marx invita a fermarsi su due punti. Il primo, che abbiamo già accennato, è la derivazione storica della forma II (terra tutta occupata) dalla forma prima (terra in via di occupazione e dissodamento). Il secondo punto è che nel pieno sviluppo della forma II, che attira sulla stessa terra sociale, ormai non accrescibile metricamente, maggiori parti del capitale sociale, per esaltare il prodotto, entra in gioco la ripartizione del capitale tra piccoli, medi e grandi imprenditori. Anche nella manifattura il volume dell'impresa è elemento di variazione del saggio del profitto: quello medio calcolato sulla somma di tutti i capitali (a chiunque intestati) risponde ad un certo "minimum di affari" con un "minimum di capitale".

Ora "tutto ciò che eccede (questo minimo) può produrre un extra-profitto; tutto ciò che è inferiore, non ottiene il profitto medio".

Tale teorema qui enunciato in modo drastico riflette tutto il quadro economico capitalistico.

Si ribadisce qui che per tali motivi

"il modo di produzione capitalistico si impadronisce solo lentamente e non uniformemente dell'agricoltura".

Nella stessa Inghilterra sopravvive l'agricoltura parcellare.

"E' esatto che il contadino (...) dedica molto lavoro alla sua piccola parcella di terra. Ma è lavoro isolato e depredato delle condizioni oggettive, tanto sociali che materiali, della produttività".

Il proprietario minimo (impresario di se stesso) lavora sottoprofitto e sana la differenza con ore sgobbate in più.

"Questa circostanza fa sì che gli effettivi affittuari capitalistici siano in grado di appropriarsi una parte del plusprofitto; non sarebbe così (...), qualora il modo di produzione capitalistico avesse raggiunto nell'agricoltura uno sviluppo così uniforme come nella manifattura".

Questa posizione è notevole in quanto non solo questo pareggio dell'attività e produttività per le derrate e i manufatti è impossibile al capitalismo (il che meglio si vede quando si tratta la rendita assoluta, negata da Ricardo), ma la esasperazione della produzione industriale verso i suoi limiti e la concentrazione degli accumulati capitali, scatena il sopraprofitto in tutti i campi della economia, a dispetto dell'abbassamento del saggio medio di profitto.

Marx qui si libera dell'incertezza sull'integrale trasformazione del sopraprofitto agrario in rendita fondiaria: è il primo che preme.

"Consideriamo la formazione del plusprofitto (...) senza preoccuparci per il momento delle condizioni nelle quali può verificarsi la trasformazione di questo plusprofitto in rendita fondiaria".

Quindi nelle numerose tabelle tutto il sopraprofitto nella forma II è trattato come rendita differenziale.

Le famose unità

Qui riviene a galla lo spinoso problema delle unità di misura. Questa parte dei manoscritti di Marx era in abbozzo e all'autore mancò il tempo di riordinare le varie tabelle. Dopo aver riportato quelle della II forma e specie nel terzo caso, Engels constatò che vi era un errore di materiale conteggio che condusse, rettificato, non a modificare la deduzione generale, bensì ad attribuire ai terreni una produzione in pratica inconcepibile. Quindi Engels ha rielaborati i 14 specchi di Marx con mutate unità di misura e dà gli specchi da XI a XXIV corretti non solo, ma pienamente confermanti la teoria originale.

Nel passare, forse a molta distanza di tempo, dalla I alla II forma Marx infatti non usa più gli scellini, ma le lire sterline, il che nulla cambia (una sterlina vale 20 scellini). Inoltre si capisce dalle intestazioni che le unità di superficie non sono are (100 mq. appena) ma arpenti (alla francese?) di molte are ognuno.

Engels adotta l'unità di capacità in boisseaux riferiti allo arpent e come abbiamo fatto noi nella precedente puntata diminuisce gli scarti di produttività fissando l0, 12, 14, 16, 18 unità di prodotto al prezzo in partenza di 6 scellini. Ogni unità di circa litri 4 e mezzo, e quindi 3,7 kg., vale in lire italiane di oggi 210 lire: ciò dà 5.500 lire al quintale, prezzo moderato ma congruo, dato il crescere storico del prezzo reale.

La tabella base, che corrisponderebbe a quanto trattato nella prima forma, comprende ora 5 terreni: A, B, C, D, E. In ognuno di essi il capitale impiegato è di 50 scellini, il profitto al 20 per cento, 10 scellini e quindi il prezzo di produzione 60. Il terreno A che non dà rendita rende 10 boisseaux (staia) di grano, che a 6 scellini danno, venduti, gli stessi 60 scellini: non resta sopraprofitto o rendita (si noti che il testo francese ed. Costes stampa una sola volta la intestazione e sbaglia mettendo l.st. (lire sterline) al posto di sh. (scellini). Inoltre dice rapport invece di produit (prodotto) quando lo esprime in denaro.

Dunque in questo quadro base, XI del testo, i 5 terreni danno la stessa spesa di produzione di 60 scellini, il prodotto da 10 sale a 12, 14, 16, 18 staia, in grano; da 60 a 72 a 84 a 96 a 108 scellini; la rendita colla illustrata relazione differenziale da 0 a 12 a 24 a 36 a 48 scellini.

Tutto il capitale è 250, il profitto 50, la spesa di produzione 300, tutto il prodotto 70 staia che a 6 scellini danno 420 scellini: la rendita totale è 120 scellini.

Nel quadro base di Marx si aveva, per quattro terreni, contro un capitale di 200 e una spesa di 240 una rendita di 360. Nel quadro da noi dato il capitale era 128.000 contro la rendita 50.000: il rapporto non è lontano da quello di Engels.

Comunque basiamoci sulle cifre Engels. Su cinque arpenti di varia fertilità colla spesa di produzione di 300 (capitale più profitto) si è avuta una rendita di 120.

Ora il problema è questo: se il capitale industriale si rovescia in maggiore misura nell'impresa agraria, comprimerà egli la rendita? Riuscirà ad inghiottire il sovraprofitto?

Quindi Marx suppone che su tutti o alcuni dei terreni sia raddoppiato il capitale investito.

Il primo caso sarà: prezzo di vendita costante; produttività costante.

Ciò vuol dire che su ciascuno dei cinque terreni si investe non 60 ma 120 e che per ognuno raddoppia il numero di staia di grano raccolti. Il caso è agevole: tutto raddoppia e anche la rendita. Capitale 500, profitto 100, rendita 240.

Facile constatare che il prezzo di produzione regolatore è sempre quello. E' vero che il migliorato A ha prodotto non 10 ma 20 staia, ma appunto il capitale investito è stato non 50 ma 100, il profitto non 10 ma 20, quindi i 20 staia per 120 scellini danno sempre 6 scellini di prezzo base a staio.

Il prezzo base rimane lo stesso anche se su A non si fa il nuovo investimento, ma solo sugli altri quattro. Se quindi vogliamo studiare la produttività non più costante ma decrescente, lasceremo A come si trovava e investiremo il nuovo apporto di 50 scellini su B, C, D, E.

Ora si può supporre che la produttività del secondo investimento sia decrescente e pari ai due terzi della iniziale. A dà sempre le sue 10 staia, B va da 12 a 20 e così via. Lo sviluppo della tabella mostra che la rendita è rimasta lo stesso 120, sebbene con 20 staia e 120 scellini il B paghi solo capitale e profitto e vada anche lui come A a rendita zero.

Se poi B deve dare ancora qualche rendita, allora la produttività dovrà decrescere meno bruscamente, ossia solo ai tre quarti. Collo stesso capitale la rendita sale a 150, maggiore di 120. Se infine nella terza variante del primo caso la produttività aumenta, ovvero il secondo piazzamento di capitale rende i cinque quarti, senza far calcoli ognuno capirà come la rendita cresca di molto: 330 invece di 120, essendo il capitale salito da 250 a 450.

Quindi fino a che il prezzo del grano non cambia, portare capitale mobile sulla terra per aumentare la produzione non intacca mai la rendita, nemmeno se la produttività degli apporti seguenti è decrescente (il che risponderebbe all'ipotesi di una tecnica agraria già molto spinta). Se poi la produttività è costante o crescente, la rendita fondiaria subisce una forte esaltazione.

Notiamo questo: prima di questa invasione cupida del capitale sulla terra la rendita media per arpente era 24 (la massima in D 48). Nella prima variante la media è andata a 48. Nella seconda a 24 e a 30, nella terza a 66. In nessun caso ha rinculato il proprietario fondiario, per l'arrivo dei capitalisti.

Pane a miglior mercato?

Naturalmente gli economisti industriali rispondevano: va bene, ma se i nostri investimenti cospicui fanno (come avviene nella manifattura ove la merce più a buon mercato scaccia le altre) scemare il prezzo di produzione regolatore, allora vedrete che la rendita scemerà.

Ebbene, essi baravano. Capitalismo non porta che fame; malgrado dovesse pure arrivare, se la generale produttività del lavoro doveva essere aumentata.

Il giudice istruttore Marx tramite il sostituto Engels li sottopone all'interrogatorio di terzo grado.

Dunque secondo caso, giusta l'agenda, della II forma. Il prezzo di produzione decresce. Per far ciò si mette fuori causa il terreno cattivo A che lo tiene alto e si raddoppia l'apporto di capitale in B, C, D, E. O la produttività resta la stessa, o scema, o sale. Se è la stessa avremo 24, 28, 32, 36 staia di prodotto.

B deve regolare, essendo divenuto il peggior terreno, il prezzo. Spesa 120, staia 24, prezzo unitario 5 e non 6 scellini come prima.

Tutte le staia prodotte - breviter - sono ora 120. Danno 600 scellini. La spesa è 480, la rendita globale 120. Caramba come è dura da morire! Non ha fatto passo indietro.

Già, ghigna ora il sordido solicitor che tratta gli affari dei farmers, avete supposto la produttività costante. Ma se essa scema la rendita crolla.

Engels suppone dunque che il nuovo apporto sia produttivo i tre quarti del primo e che sia sempre B a dare la rendita zero. Ma qui la stamperia francese gli fa un brutto tiro: stampa il quadro XVII con un prezzo cresciuto! Lo ha scambiato con quello dato alla progressiva XX (che spasso quando vedremo la traduzione italiana: che sia il Monti poeta e cavaliere gran traduttor dei traduttor d'Omero?). Se B colla spesa solita 120 deve dare solo 12+9 ossia 21, ogni staio deve costare scellini 120:21 ossia 5,7. Dunque meno di 6. Ora tutte le staia sono 105 e valgono 600 scellini: spesa 480, rendita 120. Corpo di una spingarda!

Se vi trovate, correggete quel 5 e 3/7 della traduzione francese in 5,7.

Naturalmente, nessuna speranza per il solicitor se la produttività invece aumenta: terza variante del secondo caso, XVIII quadro engelsiano, ove si legga il quadro mal stampato sotto XXI. Produttività una volta e mezza, prezzo 4 e 4/5 soltanto, rendita doppia: 240!

Resta poi il terzo caso; che, pure avendo investito gran capitali, nella agricoltura, la fecondazione della terra da parte del dongiovannesco ma semi-sterile messer capitale sia stata clamorosamente battuta dalla fecondazione proletaria tra gli umani; e il prezzo del grano cresca. Ci pare che allora sia inutile fare calcoli e bastano i risultati del paziente Engels, sol che vogliano i vari pasticcioni lasciarli al posto loro.

Dunque cresce il prezzo: da 6 scellini ad 8. La produttività deve essere costante.

Qui al posto della tabella XIX ve ne è una che deve invece stare al quadro XXII. Il quadro vero manca: rifatto, mostra che la rendita sale, come prevedibile, a 240.

Ma se la produttività decresce? Niente paura. Qui va ripreso quel tale quadro XXII finito fuori di luogo. Prezzo 8, produttività dimezzata rispetto al primo apporto: rendita totale 240.

E se poi la produttività cresce conta lo specchio XVII qualora trasportato di peso sotto XXI. Perfino ribattendo alla metà il prodotto del primo investimento (cosa necessaria per tenere A a rendita zero) la rendita è salita a 240.

Gli stessi tre casi sono poi discussi introducendo un terreno a (piccolo) che precede A essendo meno fertile e regola il prezzo, e portando il quadro XIX al suo posto XXII col prezzo 7 e mezzo e la rendita 450. Se la produttività scema (XXIII) si ha sempre 380, se cresce (XXIV) 580.

Fatto questo po' po' di lavoro, Federico può concludere: vi ho studiati 13 casi possibili: la rendita non ha mai traballato. In cinque casi a doppio capitale ha risposto doppia rendita. In quattro casi la rendita è salita più che al doppio. In un caso, sale ma meno del doppio. In tre casi resta ferma su 120, ma sono quelli in cui A è stato eliminato, sono quindi 4 arpenti e non 5 e la rendita per unità di superficie sale da 24 a 30 scellini.

Sul terreno A che non serve più fateci la sede della Confederazione dell'Industria.

Notiamo infine: in tutti i quadretti di Marx e di Engels è rispettata, anche nella II forma, la legge generale della rendita differenziale: delta, prodotto, moltiplicato prezzo unitario del prodotto stesso, uguale delta rendita. Gli scatti sono per la fertilità di due staia in due staia e di 12 scellini in 12 scellini. Varia di quadro in quadro lo scatto (4 staia, 3 staia, 5 staia, ecc.) e varia il prezzo regolatore, ma restano eguali gli scatti della rendita da terreno a terreno.

Punto di arrivo

Dopo tanti numeretti che abbiamo procurato ridurre in pilloline, la conclusione per essere digeribile vorrebbe essere spicciola.

Marx duramente dice:

"Dal punto di vista del modo di produzione capitalistico vi è sempre un relativo rincaro dei prodotti se per ottenere lo stesso prodotto si deve fare una spesa (...)".

"L'accrescersi del prezzo generale di produzione (...), è in questo caso non soltanto causa dell'aumento della rendita differenziale, ma l'esistenza della rendita differenziale in quanto rendita è al tempo stesso causa dell'anticipato e più rapido aumento del prezzo generale di produzione, al fine di assicurare l'offerta del maggiore prodotto resosi indispensabile".

Il più popolare (absit iniuria verbo) Federico Engels così conchiude tra parentesi quadre:

"Quanto più capitale è investito in un terreno e quanto più elevato è lo sviluppo dell'agricoltura e della civiltà in generale (...), tanto più aumentano le rendite per acro così come la somma totale delle rendite, e tanto più ingente diviene il tributo pagato dalla società ai grandi proprietari fondiari nella forma di plusprofitti, fino a quando tutti i tipi di terreno sottoposti a coltivazione rimangono in grado di partecipare alla concorrenza".

Secondo Engels questa legge spiega la virulenza della classe dei proprietari terrieri, ma spiega anche perché tale vitalità si spegne poco a poco. Il fenomeno è secondo Engels il dissodamento delle pampe, delle steppe, delle vergini terre degli sterminati continenti extraeuropei e la formidabile potenza raggiunta dai mezzi di trasporto. Ve ne è secondo Engels abbastanza per rovinare la grande proprietà fondiaria in Europa "e la piccola per sopramercato".

Il prezzo del grano indigeno è frenato se non ridotto dal prezzo a cui lo si può importare da oltre Oceano. Di qui la lotta per i dazi degli agrari inglesi, italiani, baltici, in tempi diversi.

Ma con la formidabile rivoluzione capitalista di Russia e dell'India e di Cina, in forme storiche diverse, la direttiva della fame è ristabilita. Non importa la composizione demografica delle classi agrarie. Importa la legge della differenzialità delle rendite e del crescere del prezzo generale nella società internazionale, che si avvia ad essere tessuta in un solo mercantilismo.

Lo Stato capitalista russo non anela ormai ad esportare il Taganrog per i nostri poveri maccheroni, ma vuole esportare manufatti; e ha visto cadere la sua esportazione per mancanza di grano promesso all'Inghilterra tra il 1952 e il 1953. Bianchi e gialli crescono spaventosamente di numero e la massa di derrate necessaria non si può produrre che a prezzi sempre più duri.

La fine della tragedia della rendita differenziale e della fame integrale non ha il suo sbocco - e lo vedremo anche con Lenin - nella nazionalizzazione della terra o delle rendite.

Il proprietario alla maniera borghese di tutta la sterminata terra di Russia, delle steppe ove piove capitale, il signore della rendita differenziale globale con duecento milioni di produttori-consumatori, esiste: è lo Stato armatissimo e capitalistico del Kremlino. Ancora dieci anni di progresso tecnico e cercherà dove comprare grano.

Lo sbocco di tutto questo non è che la rivoluzione internazionale, la distruzione di ogni meccanismo di compravendita individuale, aziendale o statale.

Il colpo di ariete sarà vano, se la testa non batte contro Washington.

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