Newsletter numero 84, 7 novembre 2005
Vita senza senso, odio e rivolta
Nel corso degli anni sembra aumentare la distanza che separa il movimento proletario classico dagli altri fenomeni di ribellione dovuti a quella che abbiamo chiamato una "vita senza senso". Così la rivolta a Parigi e nelle altre città francesi appare come confinata in un ghetto di disperazione ben lontano dalle fabbriche e dal proletariato. Eppure è presto diventata rivolta universale, dimostrando che occorre vedere più in là dei semplici fatti presentati dagli organi d'informazione. Non si tratta di una rivolta di "immigrati", ma di francesi che non hanno trovato, e sanno di non trovare mai, non solo un lavoro, ma semplicemente una collocazione "normale" in questa società. Perciò oggi cade completamente la separazione netta fra l'operaio e il diseredato precario, il proletariato s'è diffuso, è aumentata la massa dei senza-riserve nella quale è precipitato anche l'ex salariato con posto fisso garantito.
Chi voleva il movimento reale, eclatante, incendiario, è servito; ma senza la comprensione profonda di come potrà avvenire la saldatura fra la viscerale rivolta e il cosciente rifiuto rischierà di sbagliare clamorosamente sul piano della prassi. Esaltare il casseur postmoderno e telegenico immaginando obsoleto il suo fratello in fabbrica è un errore micidiale. La rivolta odierna di Parigi e delle 211 città francesi sta infatti a futuri movimenti proletari organizzati come quella di Los Angeles del 1992 stava al grandissimo sciopero dei super-precari UPS del 2001.
Stiamo ricevendo un mucchio di spazzatura romantica sinistrorsa sugli incendi francesi, ma è come ascoltare una poesia sul fuoco recitata da un pompiere. Gli incendiari veri meritano di più, specie in rapporto a quello che può offrire il cretinismo extra-parlamentare. Quest'ultimo è bell'e pronto per un futuro da Onlus, per diventare responsabile di uffici immigrazione riformati e "umani" come i patronati e i CAF sindacali, ben disposti a rendersi utili: "Stiamo lavorando per la vostra integrazione, rispettate gli orari, mettetevi in coda e non fate casino agli sportelli, dieci euro per la pratica, grazie, il resto lo mette lo Stato".
I "teppisti" di Francia e del mondo stanno impartendo lezioni di "marxismo oggettivo", senza rivendicazioni e senza interlocutori, mentre lo Stato risponde più ancora che con coprifuoco e repressione, con l'appello disperato di Chirac ai suddetti legulei rivendicatori di "diritti", sapendo bene che essi risponderanno all'appello (stanno rispondendo) per riportare tutto nell'alveo rivendicazionista e riformista dell'esistente.
1962: Evviva
i teppisti della lotta di classe! Abbasso gli adoratori dell'ordine costituito!
2005: Una
vita senza senso (le modalità del rifiuto, dal suicidio, alle rivolte
selvagge, alla comunità nuova)
Mutazioni embrionali della lotta di classe
Recenti lotte di precari, in Europa e negli Stati Uniti, invitano ad una riflessione. E' finita l'epoca del lavoro di massa e anche del "posto fisso", ma continuano le litanie disperate dei "sinistri" per la "difesa del posto di lavoro a tempo indeterminato", come se si potesse tornare alle fabbriche del secolo scorso, con poche macchine, tanti uomini e niente robot. Invece non sarebbe male pensare seriamente a che cosa significhi davvero trovarsi di fronte a una immensa forza produttiva sociale che rende inutile il lavoro umano. Meditare su ciò che significa la reale possibilità di dire addio per sempre alla schiavitù del lavoro coatto, alla "giornata lavorativa" per tutta la vita. Dire addio soprattutto ai freni inibitori sociali che riducono ormai qualsiasi rivendicazione, anche sostenuta con forti lotte di classe, a una contrattazione corporativa in difesa delle condizioni esistenti, appunto il lavoro coatto, l'azienda che lo offre, la società che ne vive come un vampiro. Rendersi conto che è il capitalismo stesso, per sua natura, a sgombrare il campo da annose questioni generatrici di interminabili "dibattiti marxisti": sparita la questione nazionale, resa evidente quella sindacale dai lavoratori stessi, adesso finisce nel dimenticatoio della storia anche la fissazione ordinovista sui Consigli di fabbrica e in genere dell'organizzazione sindacale e politica basata su di un "posto di lavoro" che non c'è più. E diventa palese un fatto, tanto palese da rappresentare la separazione fra il rivoluzionario e l'imbecille: oggi più che mai i proletari non hanno da perdere che le loro catene e tutto un mondo da conquistare.
2001: I
sedici giorni più belli (lo sciopero significativo della UPS)
2005: Per
la saldatura di lotta e organizzazione fra precari e non
Elezioni in Germania
Entrati nel terzo millennio, dobbiamo constatare che il disorientato genere umano insiste con l'inutile pratica schedaiola per eleggere chi per qualche anno sarà demandato a governare, cioè a sovrintendere il dominio di classe. Le elezioni politiche tedesche, portando alla Grande Coalizione, hanno confermato che sempre di più i contendenti si equivalgono, si confondono, si mischiano. E intanto si consolida, a dispetto delle coalizioni classiche, una terza forza solitamente trascurata dai mass media, nonostante rappresenti una fascia crescente della collettività: la folla di coloro che rifiutano di riconoscersi in qualcuna delle forze borghesi sul campo, e disertano un evento sentito giustamente estraneo alle proprie necessità materiali. L'illusione democratica mostra sempre più le sue crepe. Orfano della possibilità di ulteriori concessioni keynesiane, il circo barnum del cretinismo parlamentare deve però ancora restare aperto, nonostante ogni parlamento sia ormai non solo superfluo ma dannoso allo stesso sistema borghese. Comunque, dietro al trucco della libera scelta soggettiva degli elettori, fa sempre più fatica a nascondersi il meccanismo totalitario e autoreferenziale dello Stato: un solo blocco che unisce tutti nella difesa della nazione e della sua economia, tramite il "tallone di ferro" sul "popolo degli abissi". Ma a che servono le elezioni se alla fine governano partiti uguali, non solo in alternanza ma insieme?
1919: O preparazione rivoluzionaria o preparazione elettorale (21.08)
Uragani selettivi
Dopo i disastri dello tsunami asiatico, che aveva maciullato i miserabili con le loro povere case risparmiando quasi tutti coloro che abitavano in costruzioni di muratura, anche i proletari e sottoproletari americani hanno sperimentato sulla propria pelle gli effetti delle "catastrofi naturali", mentre chi aveva automobili, soldi per l'aereo e riserve per vivere lontano da casa s'è messo in salvo. Gli uragani Katrina, Rita,Wilma e lo sciame di turbolenze che li ha accompagnati hanno mostrato al mondo intero non solo la vulnerabilità interna del colosso statunitense, ma la legge generale capitalistica secondo la quale gli stessi eventi meteo producono selettivi effetti di classe. Anche qui le case povere sono finite scoperchiate o sott'acqua, anche qui, e in modo più eclatante che in Asia, le vittime sono state in maggior numero nelle classi "inferiori", mentre l'occupazione militare, l'iraqizzazione delle zone colpite, ha avuto la precedenza sull'organizzazione della rete di soccorsi. Persino i piani di lucrosa ricostruzione sono scattati prima che fosse noto il numero approssimativo dei morti (ma a chi importano i morti proletari e sottoproletari?). E le città, finite sott'acqua o rase al suolo, risorgeranno tali e quali in attesa del prossimo disastro.
2005:Tsunami
2005: Katrina, uragano sociale
La spada di Damocle sull'Italietta franosa
Se altri soffrono per eventi catastrofici, una perenne Spada di Damocle del maltempo incombe sulla friabile penisola italica. Regolarmente scatta l'allarme per il nuovo caso alluvionale, sismico o inquinante del momento, perché l'Italietta è una dorsale montana che mal sopporta lo scempio capitalistico. Ulteriore costante: la totale incapacità della borghesia di prevenire tragedie più che annunciate si accompagna all'ineffabile primato nello sfruttarle per decenni con gli intrecci fra appalti e mafie locali e governative. Con buona pace del "popolo" spennato in permanenza. La vecchia lezione delle ricorrenti alluvioni non ha insegnato nulla: e che mai possono imparare coloro che non riescono a muovere lo sguardo al di fuori del tunnel capitalistico? In una società come questa nessun ecologista o uomo di "buona volontà" potrà mai risolvere la contraddizione tra forze "tecniche" del Capitale e necessità impellenti di pianificazione della sopravvivenza dell'intera collettività umana.
1953: La coltivazione delle catastrofi
Logica insensata di una vita senza prospettive
La cronaca ci propina ogni giorno apparentemente inspiegabili "suicidi", "stragi in famiglia", "acquabomber", "ultrà spietati", "giovani senza valori", ecc. Il calderone sociale italiano cuoce a fuoco lento, ma va raggiungendo una temperatura assai elevata. Proliferano segnali di insofferenza verso una realtà di fronte alla quale, individualmente, non si può che soccombere. Così la vittima designata delle proprie pulsioni diventa sempre più un soggetto "di prossimità", come dicono i sociologi, cioè, oltre che la propria persona, anche i propri famigliari, i vicini di casa, i compagni di scuola. E si profila una serie di inequivocabili indicatori di una società mutante, nel passaggio da una fase di malattia terminale a una di scontro sociale, ancora difficilmente individuabile alla miope vista delle masse occidentali, intorpidite dal finto benessere. La bussola collettiva, rivoluzionaria, è celata dal rumore sonnifero di chi esalta la presunta eternità del capitalismo, ma non è distrutta. L'unica possibilità di non finire prigionieri delle ondate del turbinìo sociale è ritrovarla e seguire la strada che indica.