Newsletter numero 86, 21 dicembre 2005

Il capitale corre verso il capolinea con la sua ultima locomotiva

Il "caso cinese", latente da qualche anno, è scoppiato in tutta la sua virulenza. Le merci orientali, che fino a un paio d'anni fa non allarmavano i capitalisti nostrani, ora li terrorizzano. Non si tratta più soltanto di concorrenza, bensì di un processo di saturazione capitalistica del pianeta. L'economia mondiale è ormai trainata da paesi a recente sviluppo, come la Cina, che producono quasi tutto il plusvalore necessario a pagare i servizio di mantenimento dell'ordine capitalistico, e quindi il capitalismo stesso. Ma il processo non è lineare come sembra. Il can can sollevato recentemente sulla concorrenza cinese conferma la legge marxiana dei rendimenti decrescenti: essa impone il totalitario sopravvento della ripartizione del plusvalore sulla sua produzione, quindi la lotta internazionale per questa ripartizione. Per ora l'immane deficit americano verso altri paesi è possibile solo perché gli Stati Uniti sono vincenti in questa lotta e si garantiscono un flusso di valore altrui. Ma lo stesso fenomeno ci mostra anche come la questione non si possa più risolvere con una specie di patto non scritto fra potenze: ti passo una quota di plusvalore in cambio dei tuoi altissimi consumi, della regolazione del traffico di capitali, del ruolo di sbirro mondiale e di locomotiva del Capitale. Infatti, quando il plusvalore è ridotto al lumicino, nessun capitalista intende farselo portare via tutto. Sale quindi la pressione delle borghesie nazionali sui propri governi, che siano o meno sul libro paga degli Stati Uniti. L'aumento costante della forza produttiva in rapporto al valore complessivo delle merci potenzia in realtà la continua tendenza del Capitale ad auto-negarsi. Il quale Capitale ha cambiato del tutto, nei paesi sviluppati, il proprio assetto produttivo, ed ha, come si suol dire, riallocato le risorse: i più importanti prodotti di importazione dalla Cina, che tanto ipocritamente spaventano i produttori occidentali, sono per la maggior parte fabbricati da filiali cinesi di multinazionali occidentali, e rappresentano addirittura il 60% delle esportazioni cinesi. E così è in altre aree del mondo.

2005: Sindrome cinese
2002: Cina, polveriera del mondo capitalistico

La Cina invade il mercato globale

L'invasione totalizzante delle merci cinesi manda in fibrilazione le più moderne industrie d'Occidente. Gli USA e l'Unione Europea, consapevoli e nello stesso tempo impotenti, hanno chiesto alla Cina, con pressioni dirette e con interventi presso la WTO, un autocontrollo fiscale sulle merci del comparto tessile dirette in Occidente. L'alternativa poteva essere una guerra commerciale a colpi di misure protezionistiche, ma si sarebbe trattato di una strada suicida. Una guerra commerciale avrebbe innescato infatti una catena in grado di far saltare l'economia dell'intero pianeta, per la semplice ragione che la Cina ha già raggiunto un numero di salariati pari alla metà di quello mondiale, dal 2003 è il primo paese del mondo come produzione industriale e, se continua così, fra pochi anni sarà in grado di produrre i beni di consumo per l'intro pianeta. La causa del dumping commerciale delle merci cinesi non consiste nel tanto decantato "bassissimo costo del lavoro", quanto nell’elevato livello raggiunto dalla scala produttiva, grazie ai grandi acquirenti ed alle particolari condizioni di distribuzione. La merce cinese è competitiva perché la cosiddetta globalizzazione non è ancora giunta al punto di livellare i valori al di là delle frontiere nazionali, e quindi chi beneficia del differenziale intasca un sovrapprofitto molto simile a una rendita. Quando una camicia prodotta a pochi centesimi in Cina è venduta a molti dollari in Occidente, secondo la legge del valore non vi è scambio ineguale, e non si tratta di "diritti calpestati", ma di uno degli innumerevoli esempi di sciupìo bestiale offerti da questa società. Il vantaggio conseguito dal capitalismo cinese nel settore tessile è ormai irrecuperabile dalle unità produttive europee o americane, poiché oggi non siamo più nell'epoca della concentrazione capitalistica, ma in quella della centralizzazione (dalla fabbrica a struttura proprietaria e produttiva verticale si è passati a quella con struttura a rete): la quantità della produzione non cresce più ai ritmi del passato, perciò le grandi strutture capitalistiche possono svilupparsi solo a spese di altre. Per questo lo sviluppo asiatico non può essere che sinonimo di declino produttivo in altri continenti.

2005: Tessile cinese e legge del valore

L'ombra del dragone minaccia la dottrina Monroe

Lo scorso 21 novembre tra Argentina e Venezuela è stato siglato un accordo per la costruzione di un gasdotto tra i due paesi. Un'opera impegnativa di 6.000 Km che attraverserà anche Uruguay, Paraguay e Brasile. Nelle intenzioni degli attuali governi argentino e venezuelano si tratterà di un grande passo avanti verso l’integrazione energetica del continente latinoamericano. Il progetto rientra infatti nel piano Petrosur per l’integrazione energetica del Sudamerica, che dovrebbe coinvolgere Argentina, Brasile e Venezuela nel maggio del 2005. Tale piano si inserisce nel contesto generale della recente crescita economica di questi paesi (più 5% nel 2004), dovuta anche al loro crescente disimpegno rispetto al Nordamerica. Ad esempio, si fanno sempre più stretti i loro legami con la Cina. In occasione del 12° Forum di cooperazione Asia Pacifico (Apec) organizzato l'anno scorso a Santiago del Cile, sono stati negoziati ben 30 accordi commerciali tra paesi Apec e Cina, e solo 4 con gli Stati Uniti. La Cina aveva già intrapreso un’azione diplomatica su vasta scala in Sudamerica intervenendo con il proprio presidente in persona. Aveva per esempio firmato una quarantina di contratti commerciali, impegnandosi a investire 100 miliardi di dollari in dieci anni, nello sviluppo sudamericano, compreso l’ampliamento del Canale di Panama. Già nel 2003 il 36 % dei capitali affluiti nel Centro e nel Sud America provenivano dalla Cina. Il Dragone entra dunque in quello che una volta era considerato il "cortile di casa" degli Stati Uniti d’America, precipitando in crisi d'ansia la loro borghesia. Dopo il fallimento dell’Associazione per il Libero Commercio Americano (ALCA) alla quale Argentina, Brasile, Uruguay e Paraguay hanno opposto il blocco economico del Mercosur, in un editoriale del New York Times si raccomandava a Washington di non dare troppo per scontata la sua influenza sul continente.

Morire di capitalismo

Nella precedente newsletter mettevamo in evidenza le distorsioni alimentari dovute alla sovrabbondanza di cibo che diventa merce. L'altra faccia della medaglia è l'inedia che perseguita gran parte della popolazione mondiale. Secondo l’ultimo rapporto della Fao, 852.000.000 di persone soffrono la fame e 6.000.000 di bambini muoiono ogni anno per sottoalimentazione. L'accesso negato al cibo è la principale causa della virulenza di malattie altrimenti curabili (dissenteria, disidratazine, polmonite, malaria) e quindi della mortalità, soprattutto infantile. La malnutrizione e la fame raddoppiano la possibilità - già alta per una serie di altre condizioni sociali - di contrarre malattie e dimezzano la possibilità di guarigione. Al pari del cibo, i farmaci rappresentano una merce inavvicinabile per i malati di vaste aree del pianeta. Mentre il grande supermarket mondiale va in crisi per produzione ed esposizione di troppe merci, cresce la parte della popolazione cui è negato l'accesso anche a quelle primarie come il pane. La merce cibo diventa accessibile solo a chi partecipa direttamente a produrle, dalla parte della borghesia o dalla parte del proletariato, mentre la stragrande maggiornaza della popolazione dell'intero globo non ha più nessuna "utilità" dal punto di vista del Capitale. Uomini schiacciati dalla microproduzione famigliare o esproriati di ogni avere senza poter diventare proletari, sovraffollano le immense bidonville intorno a nuove e agghiaccianti metropoli. La produzione di soggetti per conferenze sulla "fame nel mondo" diventa inesorabile e crescente. Mentre ognuno può toccare con mano che proprio il capitalismo offre già tutte le potenzialità per eliminare il bisogno, proprio l'intero sistema rende sempre più evidente che di capitalismo si muore. L'umanità, da una parte obesa, satura di amidi, di grassi e di ogni porcheria, comprese le pillole dimagranti, dall'altra affamata e ridotta in condizioni sottobestiali, sembra insensibile alla dimostrazione pratica di che cosa potrebbe essere il mondo senza il capitalismo. Sembra non vedere la fine del quantitativismo produttivo assassino, perfettamente superabile proprio per mezzo della grande forza produttiva sociale raggiunta. Ma per quanto apparentemente cieca, non potrà, presto o tardi, che denunciare con la forza il concetto capitalistico di produttività, la quale - ed è persino triste luogo comune ripeterlo - continua a crescere vertiginosamente nelle singole aziende, ma è assolutamente fallimentare nella società basata su di essa.

1954: Mai la merce sfamerà l’uomo; cap. X Terra vergine, capitale satiro
2001: L’uomo e il lavoro del sole

Good night and good luck

Film in bianco e nero di George Clooney. In concorso alla prossima Mostra del cinema di Venezia, descrive, sullo sfondo degli anni '50, la storia di Edward R. Murrow, un anchorman che, durante il maccartismo, crede nella forza della comunicazione per fare entrare nelle case una realtà diversa dal glamour e dall’effimero. Murrow conduceva per la CBS un programma intitolato "Person to Person" e concludeva sempre con il saluto "Good night and good luck", che spiega il titolo del film. Clooney concentra l’attenzione sulla storia di un singolo individuo in un dato periodo storico, ma in realtà ci mostra l'invarianza, tipica nella storia sociale americana, della caccia alle streghe e delle liste nere. In base alla logica della famigerata "Dottrina del destino manifesto", che farebbe degli USA un nazione eletta, l'americano medio ha per decenni vissuto nella convinzione che il comunismo e tutto ciò che non è "americano", sia di per sé nemico e quindi destinato alla sconfitta. Oggi, con l’acuirsi della più profonda crisi economica della storia americana (che è crisi del mondo), questa certezza comincia a vacillare. Ai cittadini statunitensi si svela uno stato di polizia totalitario, assoluto, orwelliano, che si erge da anni contro di loro, senza più far differenze tra nemici interni ed esterni. Ma, mentre la maggior parte di essi sono ancora prigionieri impotenti delle blandizie e del terrorismo della propaganda statale, sono circa 50 milioni coloro che, nel tentativo di sfuggire ad un mondo sempre più insopportabile si sono organizzati per vivere in cosiddette intentional communities mettendo in moto, pur restando nell'ambito della società del valore, una specie di disperato rovesciamento della prassi, un’evasione che si rivela comunque consapevole rispetto al corrente modello di vita americano. Benché in questa società ogni isola di vita comunitaria non sia che uno sfogo utopistico, il solo fatto che si formi spontaneamente una tendenza verso forme materiali di vita che si presume alternativa è un importante indicatore sociale, a dimostrazione dell’insopprimibile esigenza di comunismo della specie umana.

2002: Arrestate Cassandra!

Rantolii di una borghesia in decadenza

Abbiamo dunque una festa nazionale in più, il "Giorno della libertà". Dopo il 25 aprile, festa della collaborazione militare con gli imperialisti capeggiati dagli Stati Uniti, adesso anche il 9 novembre, giorno della caduta del Muro di Berlino, diventa festivo in nome di una "Liberazione". Di nuovo lo Stato italiano, riconoscendo la vittoria di un blocco imperialista sull'altro, festeggia la giornata dell' "anticomunismo" esaltando i valori della democrazia e inventandosi che la fine della Guerra Fredda sia l'inizio di una nuova epoca. Il sistema democratico diventa dominante in tutto il mondo sviluppato, grandeggia il pensiero unico e per qualcuno sembra realizzarsi "la fine della Storia" preconizzata dal neoconservatore americano Fukuyama. Recita l’unico articolo della legge: "In occasione del Giorno della libertà, vengono annualmente organizzate cerimonie commemorative ufficiali e momenti di approfondimento nelle scuole che illustrino il valore della democrazia e della libertà evidenziando obiettivamente gli effetti nefasti dei totalitarismi passati e presenti". La borghesia italiana ha sempre più bisogno di collanti ideologici per far fronte alla progressiva ed inesorabile caduta nel ridicolo. Come la sua stessa storia insegna, ha deciso di farlo a partire dalla scuola, da sempre ricettacolo di conservazione e di difesa dell’ideologia dominante. La notizia è di quelle che faranno aumentare i pruriti dei luogocomunisti e resistenzialisti d'ogni genere. Siamo certi che il 9 novembre 2006 assisteremo a contromanifestazioni con tanto di rivendicazione della Resistenza alleata con l'imperialista russo-americano, della Grande Guerra Patriottica Russa (con 20 milioni di morti) e quindi alla "contestazione" della "festa" in cui si celebra l'Occidente che s'è comprato l'Oriente. Ma, dopo aver venduto l'anima e anche parti meno nobili del corpo agli imperialisti atlantici, dopo averli aiutati armi in pugno a dominare il mondo, come si fa a essere coerenti adesso, e inscenare spettacoli di antiamericanismo? C'è forse qualcuno pronto a vendersi come l'altra volta a un nuovo blocco imperialista emergente?

1951: Farina, festa e forca

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