Critica alla filosofia. Escursione con il metodo di Marx intorno alla teoria borghese della conoscenza e alla non-scienza d'oggi (2)
II. Frammento sulla teoria rivoluzionaria della conoscenza
Premessa
Nella prefazione della seconda edizione dello scritto denominato popolarmente Antidühring, datata 23 settembre 1885, Federico Engels così riassume l'origine delle dottrine che espone [6].
La concezione comunista del mondo dovuta a Marx apparve per la prima volta nella Miseria della filosofia e nel Manifesto dei Comunisti del 1847. Traversò poi uno stadio di incubazione di 20 anni fino all'apparizione del Capitale, diffondendosi da allora sempre più largamente in tutti i paesi "dove da un lato trovavansi proletari, dall'altro cultori della scienza liberi da pregiudizi" [7].
La Miseria della filosofia e il Capitale trattavano soprattutto di argomento economico; il "Manifesto" costituiva il programma di un partito politico; sicché poteva credersi che solo di una nuova scuola economica e di un nuovo partito si trattasse.
La dottrina invece comprendeva una visione generale di tutti i problemi dell'azione umana in cui sono inclusi tutti i problemi del sapere; e ciò nello stesso tempo che si annunziava non come il parto di una nuova scuola di pensatori, ma come il bagaglio teoretico di una parte degli uomini ben definita dai suoi rapporti materiali con gli altri: la classe salariata.
Mancava un testo riassuntivo della concezione generale comunista del mondo, intendendo per mondo tutto il complesso di fatti presentatoci dalla natura, compresi naturalmente quelli che riguardano l'uomo e le sue funzioni; testo che solo poteva chiarificare il contenuto teorico del movimento comunistico e la necessaria presa di posizione non soltanto dinanzi alle classi ed ai partiti avversi, ma dinanzi altresì alle enunciazioni e posizioni religiose e filosofiche e ideologiche in generale.
Una delle tesi della nuova dottrina – essendo quella che nessun autore o scuola potrà mai dare il "sistema" completo e definitivo della "verità" – [affermava che] riusciva particolarmente difficile assolvere a quel compito in maniera positiva ed ex professo. Engels colse un'occasione polemica nelle pubblicazioni del professore tedesco Dühring che aveva aderito al socialismo portando seco una grave confusione ideologica; pubblicazioni che hanno oggi perduta ogni importanza.
Importantissimo resta però il fatto che Engels abbia potuto, nel 1878 e con la collaborazione diretta di Marx, coordinare l'enunciazione della sua dottrina nei più diversi campi avvalendosi della possibilità di togliere pretesa e pesantezza all'opera propria e a quella del lettore; sicché lo scritto conserva un grandissimo valore e fa data, come gli altri fondamentali prima richiamati.
Engels poté seguire l'ordine dell'opera di Dühring anziché quello proprio della nuova dottrina, che sarebbe in realtà molto faticoso, perché dovrebbe consistere in una ricapitolazione dei dati principali di tutte le scienze del mondo fisico, organico ed umano, culminando nello studio dei problemi del pensiero e dell'azione degli uomini. Nell'ordine tradizionale la serie è in parte invertita, e ciò resta inevitabile tuttora perché anche noi lavoriamo con l'apparato tradizionale per lo meno del linguaggio.
A 50 anni di distanza dall'Antidühring i dati delle conoscenze acquisiti nei vari campi si sono moltiplicati ed anche modificati, se anche per converso le vicende della storia delle condizioni sociali e di quella riflessa del pensiero non ci hanno liberati molto di più dalle difficoltà contro cui già allora si lottava.
Per uno studio della concezione generale del mondo propria dei comunisti, il libro di Engels resta fondamentale, ma sarebbe difficile lavorare su di esso senza tener conto dei risultati posteriori nel campo della scienza, anche senza fare mistero del fatto che trascuriamo largamente quelli contemporanei della cosiddetta filosofia.
Per quanto Dühring oggi interessi poco e si possa anche fare a meno di citarlo, si può seguire l'ordine del lavoro di Engels malgrado le inevitabili anticipazioni, che esso rende necessarie, di risultati esposti nel corso successivo della trattazione.
È necessario coordinare, con una presa di posizione di fronte ai vari problemi, che sorgono e risorgono dal campo della scienza e della pseudo-scienza e di tutte le elaborazioni ideologiche tradizionali o di ultima moda, i postulati più noti della dottrina che ne sono per la gran massa le caratteristiche. Anche perché questi stessi sono per lo più mal compresi e mal enunciati per difetto della connessione generale di cui qui ci interessiamo.
Socialismo nel senso proprio è qualcosa di più di un programma di ordine sociale fondato sull'eguaglianza economica; nello stesso tempo è qualcosa di più di un movimento sociale e politico di difesa degli interessi dei lavoratori. L'accettazione del socialismo nel senso marxista (che si identifica col primo nome storico di comunismo) consiste nell'accettazione, come punti fondamentali di dottrina e di azione collettiva, dei capisaldi seguenti:
- il determinismo economico o concezione materialistica della storia, spiegazione positiva del determinarsi e svilupparsi dell'azione e del pensiero della collettività umana;
- la dottrina del valore e del plusvalore e la corrispondente spiegazione scientifica della produzione capitalistica con le sue leggi di sviluppo;
- la dottrina programmatica delle classi, dei partiti e dello Stato, dottrina che definisce il movimento e la lotta della classe operaia; il partito come suo organo politico per la conquista del potere; lo stato operaio o dittatura del proletariato.
Queste tre dottrine trovano svolgimento nella seconda e terza parte dell'Antidühring (Economia politica e Socialismo) [140 e 245].
Dalla prima di esse si hanno gli elementi fondamentali anche nello studio della prima parte dell'opera stessa (filosofia); la seconda però trova posto più adatto in uno studio sulla traccia del Capitale; mentre la terza può specialmente svolgersi sulla base della parte programmatica del Manifesto e su quella, particolarmente importante poiché avente valore di restaurazione dopo le deviazioni e revisioni ben note, di Stato e rivoluzione di Lenin che inoltre fa tesoro di una ulteriore vasta esperienza storica della lotta proletaria.
Uno studio generale come quello delineato da Engels vale però non solo a coordinare le tesi storiche, economiche, politiche più note, ma anche a stabilire come chi accetta quelle e non vuole essere oggetto inconscio di influenze estranee non è libero di aderire tradizionalmente o estemporaneamente a correnti anche circoscritte di opinioni, non può restare o diventare, ad esempio, protestante od ebreo, teosofo o spiritista, platonico o spenceriano, protezionista o paretiano e così via, avendo la pretesa di svincolare tali atteggiamenti da quelli determinati dal suo schieramento nella corrente di pensiero o di azione che corrisponda all'avanzata della classe operaia.
Capitolo primo
Secondo la concezione tradizionale la filosofia è lo svolgimento delle forme più alte di coscienza del mondo e della vita, e in senso più largo, abbraccia i principii di ogni sapere e di ogni volere.
Sono oggetto della filosofia i principii di ogni gruppo di forme di esistenza e di conoscenza.
Questi principii sarebbero le più semplici parti costitutive in cui si può scomporre o dai quali si può ricostituire la complessità del sapere e del volere. Una volta acquisiti, questi principii avrebbero valore non soltanto per il campo dei dati noti ed accessibili, ma anche per sfere ancora inaccessibili e sconosciute.
Con ciò i principii della filosofia rappresenterebbero l'ultimo completamento di cui abbisognano le scienze singole, tutte diversamente incomplete, per divenire un sistema unitario di spiegazioni della natura e della vita umana.
La filosofia dunque avrebbe come proprio oggetto anzi tutto le forme fondamentali di ogni esistenza e successivamente la dottrina dei principii della natura e quella del mondo umano.
Di qui una partizione in tre gruppi che più o meno ci presentano tutti i sistemi filosofici. Nel primo gruppo si tratta dei principii dell'essere, ossia di tesi fondamentali tratte dal puro pensiero. E negli altri due gruppi queste tesi sono applicate al mondo della natura e al mondo umano. Le conclusioni del primo gruppo sono per le varie scuole più o meno estese, ma in un senso o nell'altro sono sempre affacciate come pregiudiziali.
Le filosofie della trascendenza, assumendo che quei principii primi sono irraggiungibili alle forze limitate del pensiero umano, li enunciano: o addirittura come rivelazioni positive di una coscienza superiore, la divinità, o come dati imposti alla coscienza umana da una forza che questa sente ma non può analizzare né comprendere. Le filosofie dell'immanenza costituiscono tali principii con operazioni del puro pensiero che esse pretendono di attuare prima che sul pensiero stesso abbiano influito i dati e le sensazioni del mondo esterno. Infine anche le filosofie dell'esperienza difficilmente si sottraggono alla tesi che nell'esperienza uno dei fattori è l'io umano; e ancora di più nella sistemazione conoscitiva dei risultati dell'esperienza stessa.
Essendo il pensiero la trama su cui si sistemano i risultati della osservazione del mondo esterno, sarebbero sempre da riconoscere come pregiudiziali, se non alla realtà di esso mondo almeno alla nostra interpretazione ed esposizione di essa, alcune proprietà e leggi del pensiero che si possano ridurre ad un insieme più o meno ristretto di relazioni (logica, logica matematica, ecc.).
Sono queste le varie risposte date al problema della "teoria della conoscenza" (gnoseologia) ma, a parte la differente importanza attribuita a tale pregiudiziale, sembrerebbe pacifico che non si possa sfuggire alla necessità di risolvere esplicitamente e implicitamente in qualche maniera tale problema prima di trattare del mondo esterno nelle sue varie distinzioni, psichico e materiale, organico ed inorganico, ecc., in quanto ogni elemento di tale trattazione importa un atto conoscitivo umano.
E fino a quando tale pregiudiziale viene riconosciuta, sopravvive la filosofia come dottrina a parte, con la sua pretesa di "completare" i vuoti delle conoscenze positive e sperimentali, pretesa che va dal minimo di alcuni schemi formali cui giungono le scuole cui abbiamo accennato prima, al massimo della costruzione del mondo, proiettandolo sul mondo esterno ciò che è interno all'Io pensante anche a dispetto delle sue "false apparenze".
Comunque sia, si tratta sempre di principii, ossia di tesi fondamentali tratte non dal mondo esterno ma dal pensiero. Questi principii dovrebbero valere per ogni essere in quanto si pretende applicarli al mondo reale, quindi essi condizionano non solo il primo gruppo ma anche gli altri due.
Ad esempio nel sistema di Hegel il primo gruppo costituisce la logica, la quale non è soltanto la tecnica dell'impiego del pensiero e del raziocinio, ma è nello stesso tempo dottrina fondamentale dell'essere (ontologia).
Il secondo gruppo in Hegel è la Filosofia della Natura, il terzo la Filosofia dello Spirito. I dati dei due gruppi successivi sono tratti dalle costruzioni del primo che sono puramente ideali.
A queste concezioni tradizionali va opposto il loro completo capovolgimento. Il pensiero dell'uomo è un processo provocato e condizionato da una serie lunghissima di altri processi naturali. Le sue leggi e i suoi principii non possono essere considerati come punti di partenza della ricerca, ma ne sono invece i punti di arrivo.
Essi sono tratti dal mondo esterno ossia dalla natura e dal regno dell'uomo, i quali non si reggono secondo i principii: all'opposto i principii in tanto sono giusti in quanto si accordano coi fatti della natura e della storia. La coscienza e il pensiero non sono qualche cosa di dato che preesista e nello stesso tempo si contrapponga all'essere e alla natura, essi sono prodotti del cervello umano come l'uomo è un prodotto della natura, e quindi si capisce nel modo più facile che il pensiero e i suoi principii, essendo in ultima analisi prodotti della natura, concordano con l'insieme di essa anziché contraddirla.
Se noi cerchiamo di trarre lo schema dell'essere, ossia del mondo, non dalla nostra testa ma a mezzo della nostra testa dal mondo reale, allora non abbiamo più bisogno di filosofia ma di conoscenza positiva del mondo e di ciò che in esso avviene, ossia di scienza positiva. Non essendo più necessaria alcuna filosofia come tale, cade anche la necessità di ogni sistema.
Il concetto che l'insieme dei processi naturali ha una connessione sistematica sforza la scienza a ricercarla dovunque, in particolare e in generale. Ma una rappresentazione decisiva e completa di tale connessione d'insieme, cioè la costruzione di una esatta immagine mentale del sistema del mondo, resta per noi e per tutti i tempi una impossibilità. Un tale risultato comporterebbe la conseguenza che qualunque avvenimento successivo, e lo stesso complicarsi e differenziarsi delle funzioni cerebrali (senza qui pretendere che questo sia un processo eterno e di senso costantemente positivo), non potrebbe più nulla modificare nel sistema delle conoscenze.
Nel fatto ogni tentativo di sistematizzare le conoscenze è provvisorio e transitorio, in quanto limitato oggettivamente dalla situazione storica, soggettivamente dai caratteri fisici e mentali del suo autore.
Come il processo di formazione del sapere umano si presenta indefinito, così appare necessario il rifiutare tutti gli a priori a cui abbiamo accennato, siano essi insegnati da Dio o escavati dalle profondità del pensiero; affacciati come intuizioni o pazientemente fabbricati come esigenze assolute del ragionamento.
Abbiamo già accennato alla tradizionale obiezione che ogni nostro rapporto con la realtà è ottenuto per mezzo della conoscenza, e quindi le conclusioni cui giungiamo sul conto della realtà contengono un elemento che è proprio del nostro pensiero.
E così anche coloro che annettono un grande valore ai risultati della esperienza, come dicevamo, riconoscono che sono prodotti al di fuori di essa certi criterii della conoscenza come la matematica pura e la logica. Queste tesi sono, sulla base dei risultati recenti, sempre più da respingere, in quanto, come vedremo, l'esperienza condiziona le conclusioni anche della geometria, dell'analisi matematica, e della stessa logica.
Noi non neghiamo l'esistenza della logica come scienza e tecnica strumentale delle forme del pensiero; è anzi ben noto che nella concezione marxista al suo impiego si accompagna quello della dialettica, o scienza delle relazioni, di cui avremo a parlare. Ma ciò che deve essere chiarito è che la logica è costruita e giustificata dalla sua applicazione e corrispondenza alla realtà e non codificata a priori nella nostra testa, e solo dopo applicata alle cose.
Non è più la scienza dei principii del pensiero, che diventa scienza dei principii dell'essere, ma è soltanto la scienza delle forme del pensiero, non assolute e fisse, ma sempre pronte ad essere modificate dai risultati e dai dati del mondo esterno.
Qualunque sia poi la parte attribuita alla esperienza nella formazione della conoscenza, si è dinanzi ad una vecchissima obiezione: l'esperienza dei nostri sensi ci dice molte volte il falso; noi non le crediamo ma rettifichiamo le sue indicazioni a mezzo del nostro raziocinio; dunque la funzione di questo deve precedere ogni esperienza.
Occupiamoci successivamente di questi quattro argomenti che pretendono di dimostrare la necessità di porre alla base dello studio del mondo più o meno estesi dati a priori dell'intelletto.
- L'atto del conoscere come relazione tra l'Io e l'esterno è condizionato dalle priorità dell'Io, ossia del pensiero.
- I risultati della matematica sono prodotti del puro pensiero.
- Le leggi della logica almeno nel ristretto senso formale sono prodotti del puro pensiero.
- La utilizzazione dell'esperienza è impossibile se mancano certe condizioni preliminari critiche poste nel nostro pensiero.
[Critica al primo punto: L'atto del conoscere come relazione tra l'Io e l'esterno è condizionato dalle priorità dell'Io, ossia del pensiero].
Indubbiamente noi esprimiamo, registriamo, comunichiamo le nostre conoscenze a mezzo del pensiero, e, in senso più concreto a mezzo del linguaggio parlato e scritto. Sui dati così accumulati facciamo poi delle operazioni o ragionamenti da cui tiriamo fuori nuovi risultati in forma di supposizioni o previsioni che a loro volta vengono confermate in linea generale da avvenimenti del mondo reale.
Sembra molto forte l'argomento che tutto questo sistema – nozione, ragionamento, previsione – non possa sussistere senza il soggetto uomo, e per di più uomo pensante, e che i suoi rapporti e connessioni non siano proprietà di un mondo esterno extraumano, ma di un mondo che è tale in quanto conosciuto e pensato da noi. In vero la grave difficoltà di questo problema consiste più che altro nelle imperfezioni del linguaggio in cui cerchiamo di tradurlo. Se pretendiamo di risolverlo pensando, ci siamo già posti sul terreno di chi vuol convincere che ogni risultato è condizionato da leggi intrinseche del pensiero. Il procedimento corretto è invece l'opposto: il meccanismo proprio dello strumento pensiero, ossia del linguaggio, abbisogna di essere perfezionato e corretto perché il quesito possa essere eliminato.
Correggere e rettificare il meccanismo del linguaggio significa modificare opportunamente il valore dei termini che rappresentano le cose e i fatti reali e delle relazioni logico-sintattiche suscettibili di sempre maggior adattamento al loro scopo.
Sta di fatto che il meccanismo del linguaggio cambia non solo da epoca ad epoca e da popolo a popolo (pur potendosi e dovendosi considerare le leggi fondamentali come comuni ai vari idiomi), ma anche da scuola a scuola, da autore ad autore, da ricercatore a ricercatore.
Il valore dei termini e delle relazioni linguistiche è in continua evoluzione e trasformazione: appunto l'esperienza del mondo esterno decide in ultima istanza sulla validità delle modifiche. Soltanto che la lentezza di queste fa credere che esse siano poco importanti e quindi limitate da un contenuto assoluto del pensiero.
[Critica al secondo punto: I risultati della matematica sono prodotti del puro pensiero].
Tutto ciò sarà reso più chiaro dalla discussione sulla pretesa validità a priori degli schemi logici e dei principii matematici. In realtà la suscettibilità di adattamento del pensiero è assolutamente senza limiti: ciò che per un'epoca era impensabile ed era considerato tale per proprietà assoluta del pensiero può essere oggi pensabilissimo; e così se confrontiamo, anziché tempi diversi, diverse razze o individui di diverse classi sociali, diverso sviluppo cerebrale, ecc.
Specialmente la facoltà di astrarre e di generalizzare viene acquisita con un lungo esercizio della facoltà di pensare collettiva e personale, e l'esercizio consiste nella ripetizione di infinite applicazioni particolari tutte soddisfacenti a condizioni sperimentali.
I pretesi assoluti del pensiero non sono che successive generalizzazioni, il più delle volte destinate a lasciare posto ad altre, dunque prive di valore definitivo: in ogni caso sono l'opposto di principii primitivi non modificabili e fungenti da punti di partenza.
I fatti particolari storici etnografici ecc. che comprovano tutto ciò sono innumerevoli. Il selvaggio non può pensare un numero superiore a tre o cinque, l'uomo ordinario deve già compiere uno sforzo per vedere netta nel suo pensiero una dimostrazione delle matematiche elementari, e si rifiuta di ammettere che abbia un senso il calcolare sulle parti infinitesime delle grandezze finite.
Il matematico moderno invece fa tali calcoli come cosa naturale, ma può provare un senso di disagio dinanzi alla proposta di ulteriori astrazioni come quelle delle forme differenziali a più di tre dimensioni, dei numeri cantoriani (due numeri infiniti, meglio detti transfiniti possono essere uno maggiore dell'altro) ecc.
Queste impossibilità di pensare, moltissime volte impiegate come dimostrazioni dell'assurdità di certe tesi, hanno dovuto poi lasciar passare il successo delle tesi stesse.
[Critica al terzo punto: Le leggi della logica almeno nel ristretto senso formale sono prodotti del puro pensiero]
Nel campo più proprio del linguaggio si possono fare le stesse osservazioni sia sul valore delle parole che sulle loro relazioni. Ad esempio il verbo "essere", che rappresenta l'astrazione delle astrazioni ed è la colonna su cui i fautori dell'"a priori" vogliono poggiare le leggi assolute del pensiero, risale ad una radice indoeuropea che significa respirare, ossia una maniera di essere molto concreta e propria soltanto degli organismi viventi. Raggiuntasi lentamente la generalizzazione, la Scolastica ha voluto trarvi la proprietà di tutte le essenze materiali, spirituali e divine, come la filosofia idealistica classica ha voluto basarvi l'origine di tutti i sovrapposti schemi logici.
Nel campo tra le relazioni sintattiche è notevole come ad esempio i primi passi della gigantesca costruzione logica di Hegel siano condizionati, come è stato osservato, dalla confusione di due funzioni strumentali del verbo è. Se io dico: Socrate è mortale, il verbo è ha la funzione di copula tra soggetto e predicato; mentre se dico: Socrate è il marito di Santippe, lo stesso verbo esprime l'identità ossia equivale all'espressione "è lo stesso uomo che è marito ecc." Nel meccanismo del pensiero le due funzioni sono diverse e conviene studiarle raccontando tutti i "casi" particolari.
Ma ciò sarebbe un'offesa all'assolutezza dell'essere, il quale non ammette specificazioni e modifiche salvo il non-essere... ! [Hegel preferì quindi concludere che poiché Socrate è mortale e particolare, mentre mortale è universale, l'universale e il particolare si identificano, ossia si conciliano nello stadio interiore dello schema dell'essere: l'individuale sarebbe l'universale concreto, e così via].
A proposito dell'essere è opportuno ritenere che la speculazione anche di cervelli potentissimi (figuriamoci poi degli innumeri dilettanti di filosofia) non potrà mai scoprire nulla. Piuttosto si potrà regolare meglio anche nel meccanismo della lingua e della logica sintattica la portata della generalizzazione di tutte le forme di essere, comuni ai corpi minerali, agli organismi, all'uomo ecc. quando si avranno dati più completi tra i fenomeni di passaggio tra i regni minerale, organico, umano ecc. [perché ognuno di questi esseri e fenomeni hanno diverse forme, nello sviluppo di ogni esistenza].
Sembrerebbe che non sia eliminato un certo valore dell'obiezione che discutiamo, o per lo meno che essa si riduca alla impossibilità della scienza e del suo sviluppo.
Sia pure il meccanismo del linguaggio in continua mutazione e manchi di ogni carattere definitivo; ciò non toglie che non vi sia scienza al di fuori del suo impiego, e che mai ve ne potrà essere.
Ora se col meccanismo "linguaggio" si costruisce la scienza, oltre che coi dati sperimentali, e si attende dalla scienza stessa il perfezionamento di quel meccanismo, si è in un circolo vizioso perché mai la scienza acquisterà un valore indipendente dal meccanismo stesso: o questo ha una sua interna perfezione su cui si poggia la scienza, e siamo alla tesi aprioristica; o esso strumento linguaggio-pensiero è imperfetto di sua natura, e almeno in parte saranno sempre imperfette le operazioni della scienza e le sue riforme del modo di parlare e di pensare.
[Critica al quarto punto: La utilizzazione dell'esperienza è impossibile se mancano certe condizioni preliminari critiche poste nel nostro pensiero]
Ma anche questo circolo vizioso non è che una eredità del tradizionale modo di pensare. Noi non possiamo fermarci dinanzi alla espressione vuota di "circolo vizioso": ciò che oggi sembra tale potrà non sembrarlo domani. Infatti tale obiezione al processo conoscitivo può farsi a tutti i processi pratici della vita quotidiana, che tuttavia non sono giudicati circoli viziosi.
Diamo alcuni esempi, sebbene qualunque di quei processi si presenti con i caratteri cui alludiamo.
Si costruiscono oggi scale graduate al centesimo di millimetro. Per eseguirle si adoperano macchine di alta precisione, la cui costruzione esige nel meccanismo un'approssimazione nella dimensione dei pezzi che a priori sembra debba essere non minore del centesimo di millimetro. Poniamo il problema al più abile dei meccanici chiuso in una stanza, e non lo risolverà; il che non toglie che la tecnica lo risolva correntemente. Il circolo vizioso che sconsiglierebbe ogni tentativo ad un logico puro è stato superato in realtà per approssimazioni successive. Riepiloghiamole così: con l'utensile al millimetro e con opportune disposizioni demoltiplicatrici si è operata la graduazione al decimo di millimetro e si è costruito l'utensile che taglia il decimo. Con i pezzi al decimo si è costruito un utensile che taglia con l'esattezza del ventesimo ecc. ecc.. La cosa è andata anche diversamente ed è stata più complicata, ma ciò non importa. Cioè è sempre lo strumento che è imperfetto, e ciò malgrado produce risultati che permettono di diminuire la sua stessa imperfezione.
Si potrebbe dare un esempio analogo riferendosi ai progressi nella durezza degli acciai, non nel senso delle nuove risorse chimico-siderurgiche, ma in quello dell'effettivo taglio delle punte di lavorazione. Sembrerebbe, logicamente, che, se esiste una punta di utensile di durezza 20, doveva esistere prima una punta di durezza 40 per tagliarlo. Nella pratica è avvenuto il contrario, e seguita ad avvenire.
Così pure per studiare le leggi della dilatazione termica dei gas sono occorsi termometri di alta precisione: ma i termometri di precisione sono basati sulla conoscenza della legge di dilatazione dei gas. Il circolo vizioso c'era, ma solo tra le parole; in realtà oggi si conosce la legge del fenomeno anche negli scarti di decimali molto avanzati, e si hanno termometri a gas che danno piccolissime frazioni del grado centigrado.
Per lo strumento-linguaggio avviene lo stesso: dobbiamo contentarci di porci in cammino impiegandolo, seppure lo sappiamo imperfetto, ma non sappiamo precisamente in che e di quanto. Ciò non ci impedirà di ottenere risultati buoni, anche se non certi, che condurranno a migliorare lo strumento, e così via con infinite ripetizioni di ciclo.
L'analogia degli esempi da noi invocati viene ovviamente contestata dai tradizionalisti. Nell'intento di spiegare il processo conoscitivo senza l'uso di dati a priori, noi abbiamo dato esempi tratti da processi attivi, tra cose materiali, ma a cui partecipa l'uomo e il suo criterio come elemento dirigente. Si potrebbe attribuire la rottura dei circoli viziosi di cui sono intessute la vita pratica e la lotta dell'uomo contro l'ambiente al potere di scelta e di discriminazione del ragionamento umano.
Sebbene sia più difficile, si può però mostrare che il fatto delle correzioni successive in realtà è determinato direttamente da condizioni materiali e ci si presenta in processi in cui l'uomo ha parte ridotta o non ne ha alcuna, e nemmeno ne hanno gli organismi viventi.
Ciò potremmo fare nei capitoli speciali sul mondo organico e inorganico.
In ogni modo è evidente che quei perfezionamenti non si fanno in senso arbitrario. Come i grandi trovati scientifici così i dispositivi della tecnica sono stati raggiunti per molteplici vie indipendenti.
È banale che la macina da molino abbia preso dovunque la forma circolare, ma esempi assai più impressionanti sono frequentissimi nella storia della scienza e della tecnica e si risolvono nella contesa sistematica sulla priorità dei ritrovati.
Infine diviene sempre più frequente la pratica di saltare l'intervento dell'uomo in certi anelli del processo tecnico con gli innumeri dispositivi automatici, col che si vuole soltanto provare che l'intervento di un atto di conoscenza e di volontà di un essere umano non imprime necessariamente ad un processo un carattere altrimenti non riproducibile.
La separazione della tecnica del linguaggio dai caratteri che vi imprime il soggetto uomo si può prestare ad ironia, come il richiamo ai vari tentativi passati di macchine per ragionare e simili. Che però la evoluzione strumentale della lingua umana nella quale si estrinseca il pensiero si faccia in un senso sostanzialmente determinato dai rapporti del mondo esterno, lo prova anche (per quanto l'esigenza di una lingua unica mondiale appaia oggi assai immatura), la dimostrazione data dal glottologo Trombetti sulla unicità fondamentale di tipo di tutte le lingue, pazientemente ritrovata attraverso innumerevoli differenze fonetiche e di grado di sviluppo concettuale e indipendentemente dalla tesi su un'origine unica delle razze umane.
Ripetiamo che la conclusione meno insicura a proposito del problema conoscitivo è quella di accettare come è l'insieme strumentale delle leggi del linguaggio e delle forme del pensiero per applicarlo allo svolgersi della conoscenza positiva, aspettandosi che quelle leggi possano cambiare comunque in maniera da inquadrare sempre meglio il totale delle conoscenze con le necessità dei loro confronti critici, negando che il puro pensiero possa comunque rivelare sue leggi e principii intrinseci.
Agli stadi più alti della ricerca positiva sta la risposta al problema dei rapporti tra meccanismo, fisiologia e prodotti dell'organo del pensiero, il nostro cervello, che forse potrà dare una soluzione generale delle relazioni tra mondo esterno e pensiero umano o meglio al modo di sorgere di dette relazioni. Ciò non esclude che a questa ricerca si lavori accettando provvisoriamente come buone delle modalità e posizioni che dovranno essere sorpassate. Questo procedimento ha una storia feconda di risultati fecondi in tutti i campi: la speculazione ha solo creato difficoltà illusorie e spesso rinunzie non necessarie; quando è apparsa produttrice di utili risultati, si trattava solo di risultati sottratti alla inconscia applicazione del metodo approssimativo e concreto che abbiamo ricavato.
[Qui il manoscritto si interrompe]