Critica alla filosofia. Escursione con il metodo di Marx intorno alla teoria borghese della conoscenza e alla non-scienza d'oggi (3)

III. Dal mito originario alla scienza unificata del domani

Riunione registrata a Firenze il 20 marzo 1960

La rivoluzione non dà risposte, distrugge vecchie domande

Nell'ultima riunione mi sono riportato a quello che fu detto e riferito molto ampiamente, anche per iscritto, a proposito della riunione precedente tenuta a La Spezia, circa le tesi importantissime contenute nei Manoscritti economici filosofici di Marx, e circa la ricerca e il confronto sui testi che in quel documento sono particolarmente difficili da tradurre nelle varie lingue. Ho poi risposto all'ultima parte in modo forse più esauriente che non a Milano, mentre non ho completato del tutto quello che mi ero prefisso di fare, cioè di riportare la parte finale dello studio di Marx che contiene la critica della dialettica filosofica di Hegel. L'ho fatto per larghe parti ma non sistematicamente. Ho però svolto a fondo la parte che, per intenderci, provvisoriamente, praticamente, si ritiene indicare come "filosofica", credo cioè di averla svolta un poco meglio.

Siccome adesso vorrei sviluppare alcuni concetti che sono continuazione di quelli, debbo supporre che voialtri abbiate quasi tutti quanti letto, non dico studiato, questa ultima puntata. Abbiamo citato certi passi fondamentali, di cui quello famosissimo che riportiamo per la seconda volta dopo averlo tradotto e ritradotto tra le varie lingue:

"Il comunismo, positiva abolizione di quella estraneazione dell'uomo da sé stesso che è la proprietà privata, quindi effettiva conquista dell'essenza umana da parte dell'uomo e per l'uomo, quindi ritorno completo, cosciente, raggiunto attraverso la intera ricchezza dello sviluppo passato dell'uomo per sé quale uomo sociale ossia quale uomo umano".

Come sapete, in tutto questo movimento [la struttura teorica è di Marx], la sola forma letteraria è presa da Hegel, perché riusciva particolarmente comoda e anche, se vogliamo, brillante e successiva, trattandosi di un momento doppio, [sia di ricerca che di affermazione]. Quindi il comunismo è abolizione di quella estraneazione dell'uomo che è la proprietà privata. La proprietà privata e il capitalismo sono l'estraneazione: l'uomo va fuori di sé stesso, poi vi ritorna e il ritorno è finalmente descritto nei [caratteri dello] sviluppo passato. Quindi vedete che ci riattacchiamo sempre al lavoro da noi eseguito, anche se in questa riunione, apparentemente, tale lavoro sarà affatto disordinato, bisognerà riconoscere che i vari settori trattati sono in relazione strettissima fra di essi e sono veramente importanti, al nostro fine materiale notevolissimi.

Trattando quest'ultimo tema ci riattacchiamo ogni tanto a quello economico di questa mattina e a quello di ieri perché questo ritorno si basa sull'intiera ricchezza dello sviluppo passato. Nella cronaca delle forme precapitalistiche, quella che è stata svolta ieri dai compagni francesi e milanesi, si tratta appunto di mettere in evidenza in che senso questa realizzazione futura, per cui noi combattiamo, utilizza una quantità di elementi che sono pervenuti dalle profondità della storia e dalla successione delle varie forme capitalistiche. Il passo dei Manoscritti è stato leggermente stravisato [dai traduttori], come diciamo dialettalmente a Napoli. Letto correttamente suona così:

"Questo comunismo è, come completo naturalismo, umanismo e, come completo umanismo, naturalismo. Esso è il vero scioglimento del contrasto tra la natura e l'uomo e tra uomini ed uomini. È la vera soluzione del contrasto tra esistenza ed essenza, tra realtà oggettiva e coscienza soggettiva, tra libertà e necessità, tra individuo e specie. Il comunismo è il risolto enigma della storia e si considera come tale soluzione".

La filosofia non ha fatto altro che trasmettere da una scuola all'altra e da un autore all'altro certi enigmi tradizionali, certi problemi tradizionali. Cercando di risolverli non ha fatto altro che palleggiarsi tra un estremo e l'altro della soluzione; e questo eterno enigma – se buttarsi di qua o di là tra le solite antitesi – non è stato mai risolto. Il comunismo lo risolve spostando completamente il compito della filosofia. Come abbiamo detto, ogni trovata di [filosofo non è che l'opinione su di un enigma, non la sua soluzione]. Credo che voi abbiate chiaramente presente la precedente puntata di Programma comunista, quella nella quale riassunsi l'esposizione sulle quistioni spaziali, nella quale cercai di dimostrare come avviene la comparsa delle verità rivoluzionarie. Avviene sempre attraverso la risoluzione di un enigma. Ma la risoluzione dell'enigma non consiste nel decidere se è bianco o se è nero rispondendo "bianco" o "nero", è un'altra cosa. Che significa: non è né bianco né nero ma è una terza cosa, e questa è tale che la vecchia distinzione tra bianco e nero diventa una completa fesseria. Quindi collegare i veri risultati rivoluzionari dell'uomo nella sua storia – della sua conoscenza e della sua teoria – è un procedimento inaccessibile alla filosofia, la quale ha sempre cercato una delle due risposte.

Il nostro è un risultato che non trova una risposta alla domanda ma la distrugge, come ho dimostrato con l'esempio di Galileo, con l'esempio di Newton, con esempi più concreti e inerenti alla natura fisica, quindi più comprensibili. Come quando sorge il famoso dubbio che non sia il Sole a girare attorno alla Terra, cosa che non veniva contraddetta neanche dai fautori dell'antico sistema geocentrico. [Più propriamente] si tratta di spiegare perché la Terra non cade sul Sole e perché la Luna non cade sulla Terra. Questa antica domanda cerca una risposta. Newton non è colui che ha scoperto la risposta, è colui che ha scoperto che questa domanda era una fesseria perché la Luna effettivamente cade sulla Terra ma è il suo modo di cadere che la mantiene sempre alla stessa distanza. Questo sembra un paradosso. Tutte le nuove verità quando compaiono sembrano paradossi. Tutti gli scopritori delle nuove verità sono in realtà dei rivoluzionari che vanno contro le idee correnti del tempo. Molte volte scoprono proprio per il gusto di negare, la elaborazione viene dopo. Quando si è spiegato bene il concetto del movimento rettilineo del corpo che avanza con la sua velocità uniforme, [in combinazione con] il movimento che questo percorrerebbe se cadesse veramente sulla Terra andando – pac! – a sbatterci sopra secondo una verticale, e si fa la composizione di questi movimenti secondo l'idea espressa per la prima volta da Galileo, si trova che la Luna percorre un'orbita costante e non cadrà mai sulla Terra.

Inadeguate scelte di campo

Tutte le scoperte dell'uomo nel corso della sua storia, quando sono veramente utili, veramente rivoluzionarie, cioè in quegli svolti favorevoli in cui esse sono possibili, consistono nello sciogliere vecchi enigmi. Scioglierli non significa dare la vittoria all'uno o all'altro. Ed ecco perché: [non possiamo schierarci con frazioni che siano espressione delle società di classe susseguitesi nella storia]. Siamo spiritualisti o materialisti? Siamo quelli che finalmente hanno dato la vittoria alla materia sullo spirito? Dire: "siamo materialisti" e non aggiungere altro, cioè dire che ci siamo schierati, siamo diventati una sottospecie di questa vecchia schiera dei materialisti contro quella degli spiritualisti, sarebbe una risposta inadeguata. Abbiamo invece col nostro sistema, per via non filosofica, cioè per via rivoluzionaria, attraverso l'azione, la lotta degli uomini, tra uomini e uomini, tra uomo e natura, abbiamo dato a questo enigma un'altra impostazione per cui la differenza tra materia e spirito non c'interessa più. Ecco in quale senso si può dire che il marxismo è una filosofia della prassi e della pratica. ["Meglio comunque sarebbe dire che il marxismo è una dottrina o scienza delle cause e delle leggi della prassi, che non tratta della prassi del singolo individuo ma del comportamento medio sociale, e che la sua spiegazione dei fatti non consiste nel porre tale comportamento alla base, ma alla sommità della ricerca. Ciò non vuol dire che questo effetto di cause ambienti, materiali e relative alla materiale vita della specie, non si riverberi in cause del procedere storico: lo fa, ed è tutto qui il misterioso "capovolgersi" della prassi, quando lo si scopre non nel pensiero e nella volontà del singolo uomo, anche di eccezione, ma nell'intervento in tempo maturo delle classi sociali in senso largo e del partito di classe in senso più stretto"].

La differenza tra lo spiritualismo e il materialismo non ci obbliga a optare per l'uno o per l'altro convenzionalmente classificandoci in una schiera, come se prendessimo una storia della filosofia e classificassimo i nomi di tutte le filosofie e le dividessimo in due partiti, uno è stato per lo spirito, l'altro per la materia, andando ad ingrossare una di queste schiere. [Per poi scoprire che] ce ne sono stati altri, i quali sono stati per tutte e due perché alcuni sono monisti e altri dualisti. No! Noi andiamo oltre l'una e l'altra schiera; noi utilizziamo l'una e l'altra schiera; rispettiamo l'una e l'altra schiera; contendiamo con interesse immenso l'una e l'altra; facciamo contribuire l'una e l'altra, e la nostra risposta non è né di "destra" né di "sinistra", non è quella dell'eterno contrasto, è una terza e una nuova risposta resa possibile solamente perché l'azione umana nei rapporti tra uomini e uomini e nei rapporti tra uomini e natura ha raggiunto uno stadio e un corso nuovo, che solamente a questo livello dell'evoluzione potevano essere dati. Non perché il pensiero e lo spirito umani si sono sviluppati.

Marx ritorna sulla dimostrazione che questi enigmi sono risolti [nel comunismo]. È inutile che noi vi indugiamo, ché la cosa diventerebbe molto lunga e pesante. Forse potrebbe essere anche istruttiva ma pigliamo la via troppo lunga, con intenzioni troppo grandiose. Ritorniamo [invece] al nostro semilavorato. Ripeto, questo studio non è fatto inutilmente perché tutte le nostre ricerche, le nostre esposizioni sono da inquadrarsi l'una con l'altra. La discussione sulla Russia si è venuta a inquadrare con quella sull'economia, quella sull'economia con quella sulla filosofia e d'ora innanzi diremo: è meglio chiamare questa parte del nostro lavoro non "filosofia" né "critica filosofica" ma "critica alla filosofia", così come Marx non ha chiamato il suo lavoro col nome di una delle tante scuole dell'economia politica ma l'ha chiamato "critica all'economia politica". E critica è da intendersi in senso rivoluzionario, in senso restrittivo.

E veniamo alla vecchia antitesi che Marx deride, sulla quale [si fonda] il contrasto tra esistenza ed essenza. Qual é il contrasto tra esistenza ed essenza? Non mi voglio mettere a fare un corso di filosofia spicciola da manuale della biblioteca del popolo, ma la cosa è diventata di attualità. Adesso ci sono gli esistenzialisti, i quali hanno rinunciato a spiegare l'essenza: "Non mi importa di scendere nel fondo dell'essenza della natura, di definire che cos'è lo spirito, che cos'è la materia, che cos'è l'idea, che cos'è la realtà, che cos'è il fatto; a me importa un solo teorema: io esisto e voglio esistere nel modo più soddisfacente possibile". Traggono poi da ciò conseguenze edonistiche, cadono in soluzioni completamente volgari... Manca l'elemento, la certezza che la conoscenza umana possa giungere [al livello di specie; per essi il problema] è solo quella di esistere.

[I filosofi in generale e gli esistenzialisti in particolare] ritornano a un vecchio problema, quello teologico, che fu posto a proposito dell'esistenza di Dio. La scienza è stata un tempo scienza della divinità perché non potendo essere – non riuscendo ancora a essere – scienza dell'uomo e della natura, e non sapendo uscire dall'antitesi del contrasto tra scienza dell'uomo e scienza della natura, l'antico pensiero aveva risolto questo problema facendo diventare tutto filosofia e teologia. Perché l'uomo non si rendeva conto che sono la stessa cosa [e ancora insiste nell'equivoco]. Perché una delle tante contrapposizioni da abolire è quella fra uomo e natura. La si abolisce facilmente quando, pensando all'uomo, non pensiamo ad esso come all'individuo singolo, ma come alla specie. L'uomo, come abbiamo visto nelle altri parti, non è che un settore, una parte della natura, e il problema [della contrapposizione] non ci interessa più. [Invece un tempo] era importante discutere solo sulla natura di Dio perché Dio spiegava tutto; perché avendo egli provocato, tratto da sé, creato la natura e l'uomo, spiegato Dio tutto era spiegato.

Ammesso il teorema dell'onnipotenza e della volontà di Dio [tutto il resto veniva di conseguenza]. Allora si discuteva: che cosa importa, l'essenza o l'esistenza di Dio? Sono due problemi diversi. Quello dell'esistenza sorge quando io credente, io teologo, mi trovo dinnanzi all'ateo che dice: "Dio non esiste". E gli porto argomenti per dimostrare che invece esiste. Dimostro che Dio è – quod est, cioè che egli esiste – e quindi formulo una prova della tesi dell'esistenza di Dio. Quello mi risponde con la prova della non esistenza. È nel suo diritto. Dice: "Io non ci credo", è un ateo e va bene. La discussione sull'essenza è un'altra. L'essenza di Dio è l'insieme delle qualità e delle caratteristiche di Dio, di questa entità, della sua natura. Si tratta di determinare non più quod est, che in latino significa di stabilire che egli è, interpretando il "che" come congiunzione, ma quid est, cioè che cosa è Dio, di che cosa è fatto. Facciamogli cioè l'anatomia, vediamo che cosa tiene dentro questa speciale macchinetta alimentata da candele, da incensi, da oboli e preghiere, vediamo come funziona, quali sono i suoi ingranaggi, andiamoci a fondo. Gli antichi filosofi avevano trovato una soluzione abbastanza brillante: la esistenza di Dio è dimostrata dalla teoria della sua essenza: dal momento che Dio è quel soggetto, quell'ente che ha per sue qualità tutte le qualità, è onnipotente, ha tutti i valori, ha tutte le suscettibilità, nulla gli è limitato, può tutto, contiene tutto, ha quindi anche la qualità di esistere. Un'essenza così completa deve per forza comprendere l'esistenza; è la famosa prova ontologica dell'esistenza di Dio: se Egli non esistesse non potrebbe essere né infinito, né onnipotente, né perfetto né altro, quindi esiste. Quindi l'essenza dimostra l'esistenza. L'ente crea l'esistenza, hanno detto gli antichi filosofi.

Questo vecchio enigma, per il quale si potrebbe discutere per altri millenni, non serve più, non importa più. Non ce ne importa niente se Dio c'è e che cosa esso sia. Però ci interessa moltissimo tutta la discussione che si è fatta su ciò che Dio è o non è. Non siamo diventati improvvisamente atei, non siamo passati nel rango di quella schiera che dice: "Dio non c'è e quindi tutti i trattati di teologia noi li distruggiamo". No! Essi sono un prodotto dell'uomo. Ad un certo stadio sono stati un prodotto utile, positivo, sono un'arcata del ponte delle rivoluzioni. E cercheremo di darne un'idea, se le forze ce lo consentiranno, nel corso di questa riunione. Quindi studieremo la teologia e studieremo i miti religiosi senza preoccuparci affatto, senza ragionare come il borghese: "Brucio tutti i libri di chiesa ecc." (salvo poi farne ristampare una copia e genuflettervisi di nuovo). Insomma, lui dice: "Li distruggo tutti perché ormai mi interessano solo i trattati scientifici, ecc." Su questo argomento ritorneremo fra poco.

Superamento dei dualismi: oggetto e soggetto

Un altro argomento [è il contrasto] fra realtà oggettiva e coscienza soggettiva. Si è creata questa antitesi tra realtà e coscienza: tra il cosmo, la materia, i fenomeni che sono dinanzi a noi e noi che li osserviamo, in certo modo li registriamo, li fotografiamo nel nostro cervello e gli diamo una forma di chiacchiera o di carta scritta o di formula matematica, ecc. Ora, vi sarebbe un contrasto tra questi due mondi. Gli antichi grandi enigmi vengono ridotti, scusate, a quello dell'uovo e della gallina: se mi dite che è nato prima l'uovo, dov'era la gallina che l'ha fatto? Se mo' dite che è nata prima la gallina, dov'era l'uovo da cui si è sviluppata? Allora la quistione se debba avere la preminenza, la coscienza soggettiva o la realtà oggettiva è uno di quei contrasti stupidi [che fanno parte della conoscenza classista]. Noi non ci schieriamo tra gli oggettivisti o i soggettivisti dicendo: "Rinforziamo la schiera degli oggettivisti e stracciamo tutti i libri dei soggettivisti" o viceversa. Da materialisti dialettici troveremo probabilmente un appoggio per la nostra lotta e per la nostra battaglia – che non è tanto una battaglia di pensieri contro pensieri ma di uomini contro uomini nel senso concreto – magari proprio in quelli che erano i fautori della coscienza soggettiva e negavano la validità della realtà oggettiva. Non ci affidiamo alle vecchie classificazioni delle chiese filosofiche. Noi, più che abolire la religione, vogliamo abolire tutte le chiese. La Chiesa oggi è un'organizzazione che ha determinati scopi di conservazione. Noi sappiamo con certezza che la società comunista non avrà chiese, e questo rispondiamo al problema della religione. Non ci importa di rispondere [al quesito sulla religione] nel senso che vogliamo sopprimere il Padreterno, la Madonna, San Giuseppe, Buddha o Visnù. A noi non interessa niente sopprimere divinità. A noi basta aver prospettato un iter della società secondo il quale, ad un certo momento, vediamo che essa funziona benissimo senza chiese; senza bisogno di distribuire un verbo rivelato, un vangelo divino. Noi usciamo completamente [da questo problema di altre società].

Altro argomento è la contraddizione tra individuo e specie. Rinuncio ad illustrarla perché mi pare evidente che [con il lavoro di partito] ne siamo già usciti. Tutto ciò che stiamo dicendo e agitando serve a dimostrare che si tratta di è una contraddizione insana. Noi non salveremo mai l'individuo, non giungeremo mai ad una elaborazione, ad una conoscenza complessiva, se non converremo che solo attraverso la specie possiamo risolvere il problema. L'individuo in un certo senso non esiste. L'individuo non esiste senza la specie. Di conseguenza è necessario studiare la dinamica della specie e non quella dell'individuo.

Ritorniamo quindi al punto: il comunismo è il risolto enigma della storia e si considera come tale soluzione. Ciò è estremamente importante. Perché, se il comunismo è il risolto enigma della storia, l'umanità, per avere dinanzi ai suoi occhi questi enigmi già risolti, dovrebbe aspettare di essere nel comunismo, nella società comunista. Ma la società comunista per noi esiste fin da ora, essa è anticipata nel partito storico che ne possiede la dottrina. Non la possiede in quel modo completo, in quel modo elaborato [che sarà caratteristico della società futura], la possiede in modo approssimato. Il partito comunista è il solo ente che può possederla e il solo che può definirsi soggetto della rivoluzione. Non può essere che la possieda la classe e tantomeno il sindacato. Non resta che il partito, quindi, [a rappresentare il cammino cosciente della specie].

La scuola della preminenza dello spirito, della coscienza soggettiva, dell'interpretazione teologica del cammino umano, ha elaborato concezioni che si sono poi stratificate nella storia, hanno costituito gli strati di quella tale geologia della conoscenza che riteniamo corrispondente alla geologia della materia fisica sulla quale appoggia tutto il mondo d'oggi. Rappresenta una delle tante arcate del ponte [che unisce l'umanità primitiva a quella sviluppata e libera dal bisogno]. Da questo ponte già iniziato noi prendiamo il via. Non ci possiamo ancora camminare prima di aver lanciato l'ultima arcata – perché tutti noi siamo in fondo i lanciatori di quest'ultima arcata – ma sappiamo che lo potremo fare, sappiamo che essa chiuderà gli enigmi delle società precedenti. La nostra cognizione del mondo non può dunque avere un valore di opera perfetta e conclusa, come nelle pretese di carattere scolastico, accademico, scientifico, pretese che sono sempre state caratteristiche delle ideologie conservatrici e controrivoluzionarie. Essa ha carattere essenzialmente aperto, dinamico; e soggetto di questa posizione che liquida le antiche contese ideologiche è il partito. È il partito che sovrappone ad esse una nuova teoria, una pre-coscienza della società futura; che rappresenta la coscienza soggettiva; che fa del "nostro" soggetto un'essenza non più individuale. Non abbiamo completamente abolito il soggetto riportando tutto a oggetto, abbiamo insomma ancora bisogno di un soggetto. Ma esso non è più una persona, un individuo: è un ente, il partito, il quale serve da ponte di trapasso. O meglio: serve da possente lanciatore del ponte di trapasso alla società futura.

Potenza dialettica del logos (ma bisogna saperla maneggiare)

Nella fine di questa parte (che mi guarderò bene dal rileggervi perché lo potete benissimo fare da voi) vi è un accenno ad alcuni degli antichi enigmi della filosofia che erano stati sciolti nelle fasi rivoluzionarie della storia. Quando alludo a Galileo, a Newton, ecc., è per considerarli come anticipatori della rivoluzione borghese. Sono in certo modo una sezione del partito rivoluzionario che doveva abbattere l'antica società teologica e feudale. Ne ho citato alcuni esempi, là dove essi sfondano un qualche antico enigma, un'antica antitesi, un antico problema della filosofia. E ho citato l'esempio di Galileo, che vi siete già letto nell'altro numero del giornale e vi rileggerete qui [nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo]. Nella sua discussione col peripatetico Simplicio, v'è l'antica contesa: noi da chi ci dobbiamo far guidare, a chi dobbiamo credere, da cosa dobbiamo lasciarci pilotare: dal senso materiale, dalle denunzie che ci fanno i nostri sensi del mondo esterno, o dalla ricostruzione che ne fa il nostro pensiero? Ha ragione il discorso o ha ragione il senso? Da questo equivoco contrapporsi delle categorie è già uscito il primo salto rivoluzionario, ecco perché è utilissimo considerarlo. Come viene applicato adesso da accademici fanfaroni è cosa distruttiva, controproducente e ridicola. Essi ritengono di valere molto di più di Galileo e Newton solo perché vivono tre secoli dopo di loro. Noi diciamo invece che valevano molto di più quelli. Noi prendiamo i loro risultati come vere conquiste del grande corso umano, in grado di liquidare definitivamente le contraddizioni della precedente conoscenza.

Ho fatto un paragone che credo interessante – scusate l'immodestia – tra la posizione di Galileo contro Simplicio che maneggia malamente Aristotele e quella di Marx contro i suoi contraddittori che maneggiano malamente Hegel. Galileo dice al peripatetico: "Tu non vuoi credere a quello che io ti dico: che ho fatto l'esperimento e che il corpo leggero e il corpo pesante cadono nello stesso tempo. Perché il logos ti avverte che deve essere falso, che deve arrivare prima quello più pesante. Ma adesso io lascio il mio laboratorio sperimentale, smetto di insegnarti il nuovo metodo del saggiatore che non è fatto per la tua testa, e vengo sul tuo terreno; adopero il logos di Aristotele, la logica, il ragionamento, e ragionando ti dimostro che tu dici una sciocchezza.

[Prendo una caramella, che cade con una certa velocità; poi le tolgo la carta e ti mostro che quest'ultima cade lentamente, mentre la caramella cade più o meno veloce come prima. La teoria aristotelica ti dice che il pesante e il leggero cadono differentemente e i sensi confermano, ma gli stessi sensi ti dicono che quando la carta era intorno alla caramella tutto cadeva alla stessa velocità del più pesante. Nasce una contraddizione: la caramella con la carta dovrebbe cadere più velocemente, perché è più pesante; ma nello stesso tempo dovrebbe cadere più lentamente perché la "natura leggera" della carta dovrebbe trattenere la caramella. I sensi t'ingannano e il logos anche, se li utilizzi male. Aristotele sbagliava perché credeva che l'aria aiutasse il moto, invece lo frena: gli allievi di Galileo dimostreranno che nel vuoto carta e caramella cadono alla stessa velocità]. Quindi il tempo di caduta è lo stesso per il pesante e per il leggero. Quindi la tua tesi, la tesi aristotelica, è una fesseria anche secondo i canoni di Aristotele e se fosse qui a discutere con noi, modificherebbe la sua teoria. Lo stesso risponde Marx a tutti quelli della sinistra hegeliana tedesca: "Voi dite un mondo di sciocchezze nei vostri articoli credendo di aver superato Hegel e di essere andati avanti verso la verità assoluta più di lui ecc. ecc., perché in realtà voi, come Simplicio, non sapete maneggiare neanche il meccanismo del logos di Aristotele; non avete capito il logos dell'Enciclopedia di Hegel. Da parte mia, però, anche se adopero la logica di Hegel, non vi faccio adesione, così come Galileo non faceva adesione alla logica di Aristotele. Me ne frego di tutte le logiche, da Aristotele a Hegel, perché le adopero in modo non filosofico, mi affido all'esperienza, alla sua interpretazione teoretica e al ritorno all'esperienza stessa [per modificarla secondo teoria]". In quegli svolti storici si era al momento in cui l'arcata del ponte incomincia a salire, non al momento in cui ridiscende, e lo stesso dobbiamo fare noi, [prendere] una posizione analoga nel nostro studio, accenno, abbozzo su questo difficile problema della conoscenza umana. Metterci nella posizione storica in cui si trovava Galileo nel '600 e in cui si trova Marx nell'800 [non significa quindi bruciare i libri e neppure adoperarli senza criterio, ma imparare il metodo per adoperarli]. In fondo è lo stesso problema dell'intero sviluppo dell'umanità, della sua azione, dei suoi rapporti col mondo o meglio, del rapporto del mondo con sé stesso.

Superamento dei dualismi: gioia e sofferenza

Abbiamo dunque accennato ad alcuni scioglimenti di enigmi. Naturalmente bisogna alleggerire la trattazione, tanto per adeguarci alla nostra pochezza di individui, ché non abbiamo pretese di avere teste imbottite di coltura come biblioteche. Qui ce ne andiamo per cose semplici.

Torniamo al contrasto tra natura e soggetto, alla nozione dell'impronta che [il soggetto lascerebbe sulla natura]. E torniamo al concetto che [è la natura a dare l'impronta a sé stessa]. Ecco sciolta una millenaria contraddizione: si deve ipotizzare prima la realtà, l'essere, o prima il pensiero? La formula di Marx, nella sua discussione su Hegel, è che pensiero ed essere sono distinti ma nello stesso tempo in unità tra loro. Il vecchio contrasto di pensiero ed essere si riduceva a questo: è esistito un momento in cui il pensiero esisteva prima dell'essere, della sostanza materiale, e poi è nata la realtà, o è esistita la realtà e dopo è nato il pensiero? La risposta di Marx, che dovremo elucidare in quello che andremo a dire adesso, è che ad un certo momento la loro relazione reciproca è talmente stretta che essi sono in unità fra di loro e quindi sono nati contemporaneamente: l'uno è nato perché c'è l'altro, l'altro perché c'è l'uno. E qui però è il dubbio che dobbiamo esaminare nel nostro ulteriore sviluppo. Tutti i tradizionali pensatori dicono: quando stabiliremo questa priorità, questa precedenza [avremo raggiunto la verità]. Essi ragionano sempre secondo gerarchie perché nascono da società gerarchizzate. Non sanno vedere altro che il padrone e il servo; il capo, quello che ha il grado superiore, e quello che ubbidisce; quindi anche nelle categorie della filosofia cercano sempre una priorità, una preminenza, una presupposizione, devono per forza presupporre una cosa per salire sull'altra. O devono presupporre la realtà per salire sul pensiero o presupporre il pensiero per salire sulla realtà. Cosa assurda perché s'è mai visto pensare senza che la realtà ci fosse e non s'è mai visto una realtà che non presupponesse "pensiero". Comunque così ragionano. La nostra risposta esce dall'eterno enigma.

La quistione dell'individuo e della specie è sviluppata da Marx fino al punto che egli sostituisce addirittura al senso soggettivo un senso collettivo: non c'è l'occhio o l'orecchio dell'individuo, c'è l'occhio o l'orecchio della specie, e svolge questo concetto. Poi affronta un'altra tesi veramente interessantissima e rivoluzionaria nel senso più esteso della parola:

"L'uomo si appropria del suo essere onnilaterale in maniera onnilaterale e quindi come uomo totale. Tutti i rapporti umani che l'uomo ha col mondo, e quindi vedere, udire, odorare, gustare, toccare, pensare, intuire, sentire, volere, agire, amare, in breve tutti gli organi che costituiscono la sua individualità come gli organi che sono nella loro forma immediatamente organi comuni, sono nel loro oggettivo comportarsi, ovvero nel loro comportarsi verso l'oggetto, l'appropriazione di questo per l'effettualità umana. Il loro rapporto con l'oggetto è la constatazione della effettualità umana. Questa manifestazione è tanto multipla quanto le determinazioni delle attività umane, l'agire ed il patire dell'uomo, perché le sofferenze prese nel senso umano sono un godimento proprio dell'uomo".

È una vecchia quistione quella dell'agire e del patire. L'uomo agisce sul mondo esterno, lo plasma a sua volontà? Sono io che deformo completamente con la mia forza la natura attorno a me e la assoggetto al mio volere? Le filosofie pragmatistiche danno particolare rilievo a questo fatto. Oppure è la natura che mi tiene in una strettoia, mi soffoca, mi aggredisce, e quindi mi fa soffrire? Fa sì che ogni mio tentativo per liberarmi o per andare in una certa direzione si trasformi in una sofferenza, quindi il vivere [non sarebbe altro che un continuo tentativo di liberazione dalla sofferenza?]. Sarebbe l'invidia generalizzata, tutto lo spirito rivoluzionario si ridurrebbe al motto: "Noi soffritori vogliamo passare nella categoria dei goditori".

Invece, questa differenza tra l'agire e il patire nella nostra concezione è superata completamente: l'uomo gode perché soffre; soffrire e godere è la stessa cosa; non godrebbe se non soffrisse, e questo lo si potrebbe dimostrare anche per molti rapporti di natura, per lo stesso rapporto fra maschio e femmina. Si può veramente stabilire se è dolore o è piacere? Essi coincidono, si toccano direttamente. La enorme gioia che avrà l'uomo nell'avvenire, quella di riuscire come specie ad armonizzarsi con la natura che lo circonda, in un certo senso di riuscire a trasmettere le sue impronte, la sua volontà, non quella del suo cervello individuale, ma della organizzazione collettiva, della società futura oggi anticipata dal partito, nella realtà plasmabile del mondo esterno, implicherà sempre, nello stesso tempo, che egli soffra. Quando voglio sollevare un peso, fare uno sforzo per raggiungere un risultato, quando per esempio voglio avere la gioia, il puro godimento di una escursione in alta montagna, di un sesto grado affrontato col tormento delle membra, io soffro per ottenere quel risultato. Ogni risultato si ottiene soffrendo. La mia azione non è il cammino verso la gioia, né il cammino per evitare il dolore: è il cammino per avere una combinazione razionale, naturale ed umana di gioia e di dolore, perché il rapporto dell'uomo con la natura considera questi due elementi come inseparabili. Il passo di Marx è veramente grandioso, e con altri passi egli va al di là di tutto quello che i filosofi hanno mai pensato e detto prima e dopo di lui, ché le sofferenze prese nel senso umano sono un godimento proprio dell'uomo. Le sofferenze legate all'atto di raggiungere un fine [voluto fanno parte del godimento. E siccome la storia dell'uomo, da quando ha imparato a rovesciare la prassi animale e ha incominciato a progettare il suo futuro, seppure per ora ancora in modo limitatissimo, è tutto un andare verso una meta, quella della società futura, ecco che il moto verso un fine è "sofferenza presa nel senso umano, come godimento proprio dell'uomo". Questo "andare verso" è la storia umana dell'uomo. Come il movimento è il modo di essere della materia, così è anche il modo sociale di essere dell'uomo e delle sue società successive. Non c'è separazione metafisica fra moto e quiete].

Superamento dei dualismi: quiete e moto

L'enigma della dicotomia fra moto e quiete lo ha risolto Galileo e ha fornito il binario attraverso cui si è incanalato Einstein. ["Se noi mettiamo a terra l'assolutezza del Tempo, distruggiamo quello su cui l'umanità ha sempre giurato: il misterioso rintocco che, segnando il presente, eleva una barriera rigida, tanto semovente quanto invalicabile, tra il Passato ed il Futuro. Con questa memorabile battaglia Einstein non si inscrive tra le due degenerazioni contemporanee del pensiero borghese che insidiano sia la teoria della natura che quella della società, ma ne esce completamente. Una è il positivismo, inteso in senso sciatto, per cui la scienza annota quanto è nel Passato, e altra responsabilità non vuole, né nel Futuro sa nulla costruire. L'altra è il triviale indecente esistenzialismo, livello fino al quale una società marcia, matura da tempo per la purificatrice Rivoluzione, è ulteriormente sdrucciolata. Esso conosce solo il Presente e nega leggi e dorsali costruttive al Futuro. Non solo, ma le nega allo stesso Passato, di cui l'intossicato campicchiatore allo stesso titolo se ne frega"].

La storia dell'uomo è una, è dinamica, fatta di relazioni, non è più possibile affermare se un corpo è in moto o è in quiete. Tutti i corpi sono in moto, e si muovono in tanti modi diversi quanto diversi sono i riferimenti ad altri corpi; quindi sono in rapporto relativo, un rapporto dialettico, perché relatività significa in fondo dialettica: sostituisce la definizione di un assoluto. Ecco perché la principale critica di Marx a Hegel culmina in quella delle tesi in cui Hegel vuole arrivare all'assoluto. Il valore della dialettica è di dimostrare appunto che non ci sono assoluti, ci sono solo relazioni, e l'essenziale è di passare da relazioni di primo ordine a relazioni di ordine superiore, più avanzate nella storia.

Superamento dei dualismi: natura e pensiero

Abbiamo dato un qualche accenno di oggetto e soggetto, di materia e pensiero, di godimento e sofferenza. È rimasto il problema dell'antitesi tra il mondo fisico, il mondo naturale, e il pensiero. Anzitutto noi abbiamo già dato una risposta guardando il mondo, fotografando il mondo come è oggi, senza far passare tutto il film dalle sue origini. Questo perché Marx dice che mettersi a meditare in maniera insufficiente sulle origini non è altro che un mezzo per cadere nell'inganno della mistica religiosa e potere ricreare la religione. Tanto è vero che Hegel dopo la sua formidabile critica lo possiamo mandare in pensione. Hegel e la sua scuola reintrodussero storicamente la religione non solo con delle ammissioni di ordine teoretico sull'Assoluto, ma anche perché il movimento che si formò sulle basi di quella filosofia finì col fare di nuovo omaggio alla potenza della Chiesa cattolica e di altre chiese. Quindi noi non dobbiamo lasciarci accecare – dice Marx – da questo speculare: "Come è cominciato? Io riesco a darti una spiegazione completa di come gira la Luna intorno alla Terra, come la sua caduta si trasformi in un moto circolatorio, ma poi viene quell'altro e mi fa la solita domanda insidiosa: va bene, dice, tu hai spiegato che la Luna ha una forza viva che le dà una velocità lineare di circa 1 chilometro al secondo; la Luna ha un peso enorme, chi glie l'ha data questa prima spinta? Se non me lo sai dire che cosa succedeva prima, allora devi ammettere che esiste il Padreterno". Viene Laplace e cerca di spiegare che i pianeti e il Sole si sono formati dalla condensazione di una massa fluida ruotante che si è piano piano diversificata, poi si è condensata da sé stessa fino a formare i pianeti, per cui si dovrebbe immaginare che la Luna si sia staccata dalla Terra quando questa era ancora in forma di massa fluida caldissima, a temperature enormi (ovviamente molto tempo prima che la vita vi comparisse). La risposta era incompleta, ma ciò non toglie che fosse un passo avanti, una relazione giusta che confermava i risultati a cui erano arrivati Galileo e Newton. Marx mette sull'avviso contro la solita insidia del filosofume volgare, quella di risalire sempre all'origine.

Tuttavia il problema delle origini, inteso nella giusta portata, bisognava che noi lo si risolvesse… insomma, dobbiamo almeno porcelo se vogliamo rispondere ad una quistione che diventa assai attuale: qual è il valore nella società moderna della scienza e della tecnica? Dobbiamo fondarci su di essa? Ha essa rinunciato alle ipotesi creazioniste, anche se nascoste? In altri termini: se riteniamo di avere fatto giustizia di tutte le religioni – che poi in questo modo spiccio lo dicono i borghesi, mentre noi lo diciamo in modo molto diverso, dato che facciamo ad esse omaggio e attingiamo ai loro risultati storici in molte cose – [come trattiamo la scienza borghese che oggi viene affrontata acriticamente al pari degli Assoluti e perciò delle religioni?]. Se i borghesi hanno avuto la pretesa di buttar via tutti i dettami religiosi e di chiudere i libri sacri e non parlarne più; se Marx ha stabilito che tutte le filosofie debbono aver fatto il loro tempo, noi che facciamo, buttiamo via i Vangeli e i trattati di tutti i filosofi, incominciando dai primi e antichissimi fino a Benedetto Croce? E chiuderemo e manderemo al macero gli allievi gramsciani di quest'ultimo, quelli attuali, iscritti al PCI (soprattutto vi raccomando quelli!) senza neppure guardarli?

Questo lo fanno i borghesi. Essi affermano che [è superata la vecchia conoscenza metafisica], ma che una parte della conoscenza, la scienza esatta, la scienza positiva, la scienza su cui si appoggia direttamente la tecnologia moderna, sarà sempre valida e su di essa si può fare assegnamento.

Solo le società di classe bruciano libri

Ci hanno portato i francesi un prezioso volumetto di Marx, dove egli dice molte cose [del tipo di quelle che stiamo qui discutendo] ma dice soprattutto un'altra cosa: la scienza meccanica e matematica borghese ci è stata utile perché ha permesso alla borghesia di costruire le macchine, di costruire le fabbriche, di adoperare il sistema meccanico di produzione, di usare il vapore, l'elettricità, domani l'energia atomica, condizioni che hanno permesso un nuovo sviluppo sociale; ma gli enunciati di quella scienza non sono affatto per noi un verbo al quale i comunisti possano attingere. In altri termini, della biblioteca avremmo bruciato – s'intende metaforicamente e non concretamente – il salone dei testi religiosi e quello dei testi filosofici, mentre quello dei testi scientifici, invece, quello che contiene la matematica, la chimica, la meccanica, la tecnologia, quello che volete, la fisica nucleare, quest'ultimo non ci dovrebbe apparire sospetto, esso sarebbe tutto buono, a disposizione di tutti. Io comunista, e il democristiano e lo stalinista ci andiamo allo stesso titolo a prendere un volume, lo consultiamo, ci informiamo, acquisiamo informazioni. E lo facciamo, naturalmente da individui isolati: guai a pensare che l'uomo possa avere un concetto di natura sociale, di natura collettiva, guai a pensare che l'individuo non si voglia far da sé la propria informazione culturale sulla interpretazione, sul lavoro interpretativo del mondo esterno, guai a pensare che la specie umana possa aver fatto un percorso comune della conoscenza. È già tanto che la borghesia, di quegli antichi volumi che rappresentano [il percorso dei suoi stessi risultati scientifici], riesca a leggere i principali, vada a prenderli e veda che c'è qualcosa di buono.

Ora, noi dobbiamo rispondere che questa impostazione è sbagliata. Nemmeno al salone che contiene i libri scientifici dobbiamo attingere senza sospetto. Non è che lo vogliamo bruciare. D'altra parte noi abbiamo detto che il metodo borghese di bruciare le bibbie non va. Io concluderò, se ce la farò, concluderò la mia esposizione appunto invocando un testo biblico per risolvere un problema che si presenta oggi come teoria scientifica. Se ce la farò io e se ce la farete voi, per la verità, dato che non so se il mio fiato sarà soggetto a restringersi, a trasformarsi in un atroce patimento della mia ugola prima che il patimento del vostro stomaco per la mancanza di cibo lo abbia sovrastato. Ad ogni modo, se il fiato me lo consentirà, citerò la Bibbia. Il primo che molla si alza e se ne va.

Allora abbiamo visto che non propongo di bruciare niente. Ma se fosse vero che la quistione si risolve bruciando, allora dico: "Bruciamo tutto, anche il settore della scienza e della tecnologia. Avremo certamente fatto un passo avanti, un passo in una società meno fetente. Conserveremo quel poco che ci sta nel nostro cervello collettivo, che forse è la migliore forma di trasmissione – e di remissione – della specie. Ritorneremo all'ancestrale sistema della società primaria che i compagni francesi ci hanno descritto [nelle riunioni sulla successione delle forme di produzione]. Noi non vogliamo affatto fare questa selezione della parte scientifica, tanto più quella parte della scienza che proviene da scuole, università e accademie: lì la probabilità che vi esistano fesserie in gran numero è certamente maggiore della probabilità che esistano fesserie nella Bibbia o persino nella filosofia di Benedetto Croce, perché gli accademici emanano direttamente da quella classe che oggi detiene il potere. I capitalisti realizzano i loro profitti, attraverso i loro profitti pagano gli scienziati ed i loro laboratori in cui sviluppano una parte della tecnologia e della scienza esatta che serve per questa tecnologia; poi pagano, con parte dei relativi ricavi pubblicitari, i professori universitari in modo che insegnino agli studenti universitari – i tecnocrati, i dirigenti, i tecnici dell'attività produttiva di domani – quelle soluzioni che più convengono all'interesse della società capitalista. Quindi anche nel campo scientifico della cosiddetta scienza positiva (che significherà poi "positiva"? non significa proprio niente) la probabilità di fesserie esiste ancora, non solo, ma è maggiore che nella religione e nella filosofia. Ora, il borghese potrebbe dire: "Ma le due categorie sono state, in certo modo, denicotinizzate dai grandiosi risultati della critica posteriore". È vero che, in un certo senso, l'opera più recente dirà cose migliori dell'opera più antica. E certamente si potrebbe pensare che Bacone dicesse cose più attendibili di quelle che non dicesse Galileo. Ma è molto da discutere che tutto questo sia vero, perché nel campo della scienza succede piuttosto il contrario: sono gli ultimi risultati, i più moderni, che sono i più fetenti e i più insidiosi.

L'intuizione, la scienza e l'anticipazione "realistica"

Ora, questo concetto fondamentale – che ogni società ha un'ideologia determinata dagli interessi della classe dominante – comporta il fatto che tutte le sue manifestazioni siano ideologiche non solo nel senso filosofico, religioso e giuridico, ma anche nel senso scientifico. Quindi noi possiamo – e tanto meglio potremo e dovremo farlo in futuro – fabbricare con le nostre sole forze un'altra scienza completa, altrettanto completa, a partire dalla stessa ricchezza di risorse, dalla stessa impalcatura che sorregge i laboratori pagati dalle grandi industrie, dalle università, dalle varie associazioni, dalle varie accademie.

Ci si potrebbe obiettare: "Vediamo di farlo dopo che avremo compiuto la rivoluzione, dato che sarebbe pazzesco cercare di farlo adesso; non tentiamo nemmeno, non siamo in grado. Per ora ci occorre solo la diffidenza verso tutti gli appoggi ideologici della società attuale. E noi dobbiamo pensare che non è nemmeno necessario, oltre che nemmeno pensabile, fare questo sforzo di fabbricare la nostra scienza. Noi, in quanto partito, fabbrichiamo solamente la nostra teoria generale; non la fabbrichiamo con una rifinitura tale da [poterci dare tutte le risposte utili alla società futura], ma allo stato greggio, proprio allo stato dell'inizio [perché noi siamo prima di tutto i distruttori di questa società]".

Tutto questo è vero e infatti poi parleremo del confronto fra la scienza e l'intuizione, opteremo per l'intuizione e non per la scienza, sapendo bene che la nostra intuizione è contro la scienza di cotesti signori. Noi optiamo per quella lotta che conduce nella direzione di una società in cui l'uomo avrà veramente una scienza unica e completa, sia del mondo "esterno" che di sé stesso come specie: un punto d'arrivo, che, secondo certi passi di Marx e di Lenin, è [un punto al limite], vale a dire un punto che non è necessario pensare come raggiungibile, che potrà restare anche come traguardo a cui ci si avvicinerà indefinitamente senza raggiungerlo mai. Non bisogna pensare che nella società attuale siano presenti due scienze, una della classe dominante e una della classe dominata: è presente una sola scienza, quella della classe dominante. Quindi tutta la conoscenza è da tenersi in sospetto, tutta la scienza, non solo una sua parte. E non possiamo nemmeno risolvere il problema pretendendo che i proletari, prima di combattere per la rivoluzione, ci rispondano, se interpellati, indicando gli errori di questa scienza ed esponendo le verità di una scienza proletaria. Sarebbe davvero uno sforzo immane, impossibile, se pensiamo a tutto il campo della tecnologia e della scienza. Sarebbe forse possibile qualche tentativo in un determinato settore. Io per esempio non sono specializzato in niente, ma per campare mi occupo un poco di costruzioni, di ossature in cemento armato, per cui potrei pigliare questo settore e dimostrarvi come, se costruisco sulla base di un trattato di cinquant'anni fa costruisco meglio che leggendo l'ultimo trattato uscito dall'università. È lì che ci sono le risorse insidiose imposte dalle imprese appaltatrici, quelle che provocano i crolli di Barletta, di Catania e di Milano, di quegli altri fabbricati che prima ancora di essere terminati sono crollati. Una critica positiva all'edilizia e dell'urbanistica borghese si può già fare, ma farla per tutta la scienza e la tecnologia sarebbe uno sforzo che oggi l'umanità non potrebbe affrontare. Naturalmente lo potrebbe in parte fare il partito rivoluzionario, se fossimo meno lontani dal potere. I partiti borghesi non lo fanno perché sono ormai assolutamente conformisti, si inchinano all'accademico, al professore, alla cultura, abituano il proletariato ad imbeversi di menzogne che corrispondono all'interesse della classe dominante, lo abituano a lasciar proiettare nel suo cervello l'ideologia, il modo di pensare che conviene alla classe dominante. Questa è una polemica che io ho condotto fin da quando ero ragazzo e sono andato sempre alla caccia del brano di Marx che ricordavo (beh, non so se lo ricordavo, se era già pubblicato, o se l'avevo in testa per conto mio) e finalmente l'abbiamo trovato.

Scienza come ideologia specifica della classe dominante

Era nell'Ideologia tedesca, in uno dei manoscritti, e chiarisce questo fatto dell'ideologia di una determinata forma sociale. Quindi il proletariato non deve acquistare prima l'ideologia comunista e poi fare il comunista. Deve fare il comunista a calci nel sedere, a mazzate sul cranio, a cannonate se necessario, e solo dopo possiederà questa nuova forma di conoscenza, non può possederla assolutamente prima.

"Le idee della classe dominante sono le idee che dominano in tutte le epoche. Ciò significa: la classe che ha la potenza materiale dominante la società è nello stesso tempo la potenza spirituale della società. La classe che dispone dei mezzi di produzione materiale dispone anche, nello stesso tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché le sono nello stesso tempo sottoposte, in media, le idee di coloro ai quali i mezzi di produzione intellettuale mancano. Le idee dominanti non sono altro che l'espressione spirituale delle condizioni materiali dominanti, le condizioni materiali dominanti sotto forma di pensiero. Perciò nelle condizioni che rendono precisamente dominante questa classe, dunque le idee della sua dominazione".

Non bisogna credere che nel tempo capitalistico i capitalisti abbiano idea della loro stessa dominazione borghese, [e che i proletari aspirino alla propria dominazione proletaria]. Purtroppo capitalisti e proletari hanno tutti ficcata in testa l'idea, inculcata dalla dominazione capitalistica, di vivere in un mondo che non potrebbe essere diverso e che al massimo si può tentare di rattoppare. Quindi, se dovessimo attenderci l'assalto rivoluzionario attraverso una mobilitazione di idee non ci arriveremmo mai: all'assalto dobbiamo arrivarci con la forza e non con la ragione. Il che non toglie che il partito anticipi la soluzione della società futura. Non è una contraddizione: al solito si tratta di vedere tutto dialetticamente, ed anche questo anticipare non è frutto del pensiero ma di forze agenti materialmente.

" Gli individui che costituiscono la classe dominante hanno anch'essi coscienza e perciò pensano. Nella misura in cui dominano in quanto classe e determinano l'insieme di un'epoca storica, va da sé che essi lo fanno in tutta la sua ampiezza e perciò dominano, tra le altre cose, come idee, come produttori di idee, e regolano la produzione e la distribuzione delle idee della loro epoca. Le classi dominanti sono produttrici di idee e nello stesso tempo regolatrici della distribuzione delle idee della loro epoca. Perciò le loro idee sono le idee dominanti dell'epoca".

Come vedete la nostra catena, la nostra sequenza, è assai diversa da quella borghese: la borghesia dice che l'uomo ha risolto il problema tecnologico – cioè il problema dell'azione dell'uomo contro la natura – ponendosi il problema e risolvendolo col pensiero razionale. La tecnologia sarebbe l'insieme dei metodi che l'uomo ha scelto di apprestare per aggredire la natura e arrivare alla produzione, al servizio della quale poi si mette la scienza ulteriore. [In realtà la sequenza borghese rappresenta in modo rovesciato, mettendo avanti il pensiero] quel tal sistema di mezzi descritto ieri, semplicissimo, che forse prima si riduceva alla bocca che addentava un frutto come nell'animale, poi alla mano che lo coglieva, poi ad una clava, ad un'ascia di pietra che prolungava la mano poi, pian piano, in una continua evoluzione, alla macchina moderna e alle necessità "scientifiche" da essa evocate nel ciclo complessivo della produzione.

È proprio in questa sequenza che balza evidente la costruzione ideologica; la tecnologia precede la costruzione delle forme sociali, la costruzione delle forme di proprietà, delle forme di potere. Solo in ultimo sorgono le ideologie, compresa la scienza attuale. Solo alla fine di tutto questo corso storico potremo avere una scienza completa a disposizione dell'umanità, in grado di esprimere quel tal risultato utile, sintesi di tutte le epoche passate di cui Marx parla. Se andiamo a chiedere lumi alla scienza oggi ufficialmente vigente e diffusa con le scuole, con le biblioteche, con i giornali, la radio, la televisione, ecc. ecc., non avremo altro risultato che di imbeverci noi stessi delle idee della classe dominante e quindi fare un'azione controrivoluzionaria. Nulla abbiamo da attingere, e se proprio vi dobbiamo attingere lo faremo con estremo sospetto. Il sospetto dev'essere tanto maggiore quanto più l'epoca storica è vicina a noi. Allora, come ho detto, possiamo maneggiare con una certa fiducia la Bibbia; possiamo maneggiare con una certa fiducia Aristotele; possiamo maneggiare con una relativa fiducia Benedetto Croce; dobbiamo maneggiare con estremo sospetto proprio i trattati di scienze esatte, di chimica applicata o di scienza delle costruzioni perché lì c'è la magagna, ché il capitalismo deve fregare un'intiera società. Questo è il criterio da seguire nel lavoro di partito.

La curiosa infatuazione di Lenin per Hegel

A grandi linee questo è il concetto da cui bisogna partire, e uno dei compiti del nostro partito sarebbe la ricostruzione di una storia [della conoscenza e della produzione materiale] per avere nello stesso tempo una storia del pensiero. Impresa che è stata già tentata più volte, e scritta, in ultimo da Hegel, che riteneva [la filosofia della natura come coronamento del percorso dello Spirito, dato che la natura materiale per lui è "l'Idea in forma di essere altro", cioè pura esteriorità, pura necessità senza quella libertà che solo è data dal pensiero. Perciò egli fece] in modo che l'ultimo capitolo della storia del pensiero fosse la filosofia naturale e che all'insieme delle sue opere non vi fosse altro da aggiungere, per cui i suoi seguaci filosofi hanno seguito una via errata, cioè han fatto la storia degli sforzi che i cervelli umani soggettivi si sarebbero imposti per risolvere il problema della conoscenza.

Invece è del tutto diversa la via intrapresa da Marx, quella che anche il movimento proletario e la classe devono seguire, man mano che lottano per la vittoria, che in un certo senso anche il partito potrebbe intraprendere fin da questo stesso momento. La nostra sequenza vede prima la storia dei rapporti tra l'uomo e la natura ai fini della produzione, perciò della tecnologia; poi la storia delle forme sociali; poi la storia delle ideologie – come è detto anche nel lavoro dei compagni francesi – ed infine si può arrivare alla formulazione della storia della scienza. Si tratta di un'idea enunciata anche in Lenin e da me sempre inseguita intuitivamente, perché so che nel partito a cui mi sono affidato questo si impara, e perciò lo dico anch'io con senso di appartenenza a questo partito. Non è importante che me ne debba convincere personalmente – la convinzione personale non conta un corno – io debbo essere solamente coerente con quella parte, con quella classe per cui mi sono schierato: il proletariato rivoluzionario. Che poi i suoi componenti individuali non "capiscano", neppure ciò importa, importa la lotta.

Dunque vi sono affermazioni simili anche in Lenin. Le trovo in un suo commento alla Scienza della Logica di Hegel, commento che studieremo; lo abbiamo solamente per il momento in inglese, e questo libro inglese lo dobbiamo restituire ai francesi, ma prima o poi lo tradurremo, noi o loro. È abbastanza interessante, però c'è un po' troppa ammirazione per Hegel. Secondo me è più severo Marx che non Lenin, tanto più che Lenin studiava la Logica, una parte dell'opera di Hegel criticata vigorosamente da Marx. È vero che Engels trasloca la logica e la dialettica dalla filosofia alla scienza, ma non allude direttamente a Hegel. Quindi tenete conto che Lenin nel momento in cui leggeva si esprimeva con un eccessivo entusiasmo. Dice perfino che nessuno può pretendere di capire il Capitale di Marx se non capisce prima la Logica di Hegel. Ora, Marx ammette di essersi servito del metodo hegeliano nella sua esposizione della materia che aveva lungamente elaborato, affrontando a sua volta le elaborazioni degli economisti, ma dice di essersene servito per comodità di presentazione, in quanto metodo più conseguente, più brillante, più accessibile. Tolta questa "innovazione" di Lenin, leggiamo i suoi due passi, che convergono con noi sul bisogno di scrivere una storia della scienza e della tecnologia, che i borghesi hanno cercato di scrivere ma che non risulta ancora sia stata scritta da un marxista (non so i russi in che modo se la stiano cavando). Come vedete anche Lenin però non scherza con Hegel: addirittura "pedante" lo definisce:

"Se non erro, c'è molto misticismo e vuota pedanteria qui nelle conclusioni di Hegel ma l'idea di base è magnifica: connessione multilaterale e vivente di ogni cosa con ogni altra cosa, e riflessione di questa connessione – messo Hegel materialisticamente sui suoi piedi – nel concetto dell'uomo, che dev'essere così raffinato, articolato, flessibile, mobile, relativo, mutuamente collegato, essere unità nonostante le opposizioni tanto da poter abbracciare il mondo. La continuazione dell'opera di Hegel e Marx deve consistere nello svolgimento dialettico della storia del pensiero umano, della scienza e della tecnologia".

Io al posto di Lenin avrei scritto la sequenza invertita: la storia della tecnologia, della scienza e del pensiero umano. Ma evidentemente l'idea di tecnologia ha colpito l'autore. E poi, s'intende, ciò che noi si continua è l'opera di Marx, non certo di Hegel.

"Da una parte, dobbiamo approfondire la conoscenza della materia in conoscenza di sostanza (o nozione di sostanza) per trovare le cause dell'apparenza. Dall'altra, la conoscenza attuale delle cause è l'approfondimento della conoscenza dall'esteriorità dell'apparenza alla sostanza. Due tipi di esempi dovrebbero spiegare questo punto: 1) tipo di esempi tratti dalla storia delle scienze naturali; 2) tratti dalla storia della filosofia." (ecco che qui Lenin mette prima le scienze) "Più esattamente: non 'esempi' – comparaison n'est pas raison – ma la quintessenza dell'una e dell'altra più la storia della tecnologia".

È interessante quel che Lenin scrive, prima che la fisica atomica avesse avuto tutti i suoi sviluppi, perché egli risponde a quell'obiezione che si è fatta sempre ai meccanicisti e ai materialisti: "Noi non abbiamo che un'apparenza; anche gli atomi a cui crediamo di essere arrivati, che tuttavia non sono afferrabili dai nostri sensi, sono ulteriormente composti e scomponibili. La loro sostanza ci sfugge. La materia non ha per sostanza tanti pezzettini di materia più piccoli, palpabili, che si possono stringere tra le dita: questa era una illusione antropomorfa. Nell'interno dell'atomo c'è tutto un mondo di altre particelle con i loro moti, le loro energie, le loro cariche elettriche, le loro forze magnetiche, tutto quanto un mondo microscopico". Allora il discorso di Lenin significherebbe: "Dobbiamo arrivare veramente alla sostanza per spiegare l'apparenza". Quindi non dobbiamo accettare la materia come io la vedo in questo bicchiere. Interessante…

Scambiare la propria scatola cranica per l'Universo

Lenin ricorda sempre, in ultima istanza, che per risolvere un problema bisogna [analizzare e conoscere la prassi da cui il problema stesso è sorto] Cos'è la storia della tecnologia? La storia è prassi, e allora la storia della tecnologia è [storia della prassi umana, cioè della produzione e riproduzione della specie in divenire]. Siamo arrivati sulla soglia della quistione fondamentale: se per risolvere il problema del sapere, del pensiero, della conoscenza, noi ammettiamo che ci sia questo rapporto di conoscenza entro la specie, ci siamo liberati del soggetto singolo, del pensatore-filosofo chiuso nel suo studio, che cerca più che altro nella sua testa (è Croce che dice che la scienza si trova solo cercando nella testa), e solo quando è costretto apre la finestra e guarda all'insieme del mondo chiamato, appunto, "esterno". Ci siamo liberati del pensatore che vuole trarre una completa elaborazione dei suoi sistemi dal rapporto tra cervello individuale e qualche occhiata fuori dalla finestra. Ci siamo tolti da questo primo equivoco dicendo: "No, non è il filosofo; è l'umanità che conosce, attraverso organi adatti".

Gli organi che la umanità si è data per guardare, non solo fuori dalla finestra ma verso l'intera natura, sono organi di diversa percezione. Si modificano nel tempo delle varie epoche. Oggi l'umanità possiede forse gli organi peggiori che abbia mai posseduto perché, per quanto fossero "primitivi" gli organi di cui disponeva [prima del capitalismo, essi erano pur sempre in armonia con il mondo circostante]. Marx in qualche sua citazione è troppo apologista delle conquiste borghesi. Si tratta di conquiste nel senso relativo non nel senso assoluto, mentre quelle realizzate dalle popolazioni primitive, benché fondate su iniziazioni conoscitive assolutamente ingenue (sciamanesimo, divinazione, astrologia, ecc.) hanno comunque un loro certo apparato [di penetrazione della realtà in grado di dare risposte sufficienti ad un dato sviluppo]. Altre epoche hanno prodotto un loro apparato specifico per la conoscenza. L'apparato perfetto non lo possiamo certo fabbricare ora, possiamo solo anticiparne qualche carattere, ma sappiamo di certo che la società capitalistica, specie allo stato ultramaturo di oggi, presenta l'apparato più fetente che la conoscenza umana abbia mai posseduto per muoversi. Questa è la tesi che mi preme enunciare.

La difficoltà che ci si presenta è il peso dell'individualismo nella società attuale. Dato che noi abbiamo sostenuto tutta la spiegazione del divenire dei processi entro il mondo cosiddetto esterno negando – come ho ribadito anche nel giornale – che lo si possa definire con quell'aggettivo, ecco che, nello stesso tempo, abbiamo anche criticato quel tal filosofo nella sua stanzetta, con la sua finestrucola aperta su tutto l'immenso ambiente che lo circonda. Se quest'ultimo è l'esterno, allora l'interno non è nemmeno quello della stanzetta ma è quello della testa con cui il filosofo "elabora". [La faccenda cambia solo quando il singolo pensatore la smette di pensare per conto suo, o meglio di credere ciò, e capisce di essere parte di un tutto]. Se leggete tutto l'articolo, vi troverete scritto che Marx dichiara di aver fatto il seguente ragionamento a propositi di sé stesso: "Io lavoro scientificamente, perciò non lavoro con la mia testa ma lo faccio con quella di tutta una determinata schiera". In questo momento io non lavoro con la mia testa, lavoro con la testa di Marx, con quella degli altri due morti, con tutte le teste di voialtri vivi che state in questa stanza e di tanti altri. Una volta che abbiamo acquisito un indubbio punto di vantaggio – quello di liberarci dal soggetto singolo –, il mondo che osserviamo non è più esterno, ne facciamo parte, è pieno di altri uomini che pensano come noi, è pieno di altre teste in relazione tra loro. Quindi non vi è più contrasto tra l'essere conoscitivo e la natura conosciuta: questo essere, essendo onnilaterale ed universale, come dice Marx, è esso stesso un pezzo inseparabile della natura. Si tratta della natura che conosce sé stessa e non di qualche viaggiatore in incognito che va a conoscere la natura. Ci si dirà: "Se avete obiezioni di tal genere, più che risolverle, bisogna dimostrare che sono ingannevoli e che sono un risultato di idee preconcette rimaste nelle nostre teste – nelle vostre come anche nella mia – per effetto delle precedenti stratificazioni geologiche di forme sociali che si sono sovrapposte". Questo va bene. Comunque, per spiegarci un poco, data la limitazione di tempo a nostra disposizione, enunciamo la cosa banalmente così come la enuncerebbe uno qualunque che si dichiari, che creda di essere materialista.

Dialogo col materialista dimezzato

Egli ci dice: "Voi siete arrivati a questa soluzione, ché avete risolto l'antitesi tra prassi e pensiero. Anzi avete dato la preminenza alla prassi umana anziché al pensiero. Però avete detto che nel dissidio tra pensiero e materia la cosa non si può risolvere né dicendo che il pensiero comanda la materia né che la materia comanda il pensiero; insomma, che la loro collaborazione dialettica in tutti i momenti è costante".

"Se è così, allora tutti i problemi, tutte le ricerche, tutte le conquiste, li spiegate attraverso una lotta di uomini contro uomini, lotta che diventa poi una formazione di ideologie, di conoscenze, poi ancora un'elaborazione di queste conoscenze nell'uomo collettivo, sia pure cristallizzata di volta in volta in una forma di conoscenza che fa comodo a una determinata classe dominante. Quindi avete così risolto alcuni problemi: quello della divinità, di cui ormai fate a meno; quello della prassi umana, del rapporto tra essere e pensiero, del rapporto tra spirito e materia; quello dello spirito che, in certo modo, conosce la materia in quanto parte della stessa materia. Ciò che importa è l'azione degli uomini, che siano o meno pervasi da questo spirito, anche prima di aver potuto conoscere".

Dice ancora il tipo: "Allora la tua difficile presentazione – quella che io forse sto rendendo un po' antipatica nell'esporre per essere più perspicuo – non ci fa risolvere alcun problema. I rapporti individuo-pensiero-materia, cioè il problema generale della conoscenza che volete risolvere è insito ad un cervello pensante, sia pure collettivo, sia pure di tutta la specie di cui fanno parte tutti i cervelli degli uomini sparsi sull'intiero pianeta. Ha comunque per condizione primaria questa specie vivente dell'uomo che entri in rapporto col resto. Ma vi sono stati tempi in cui la vita non c'era. A più forte ragione non c'era il pensiero, e quindi non c'era l'azione di una specie vivente e pensante in rapporto con la natura "esterna". Quindi il vostro secondo elemento integrativo mancava. Eppure l'evoluzione correva, il mondo esisteva, la materia pensava. Che cosa dava la spiegazione di questa materia se l'evoluzione della materia è spiegabile soltanto con la presenza dell'uomo agente e pensante? Da dove veniva il programma evolutivo complesso necessario per la comparsa di quell'animale complesso che è l'uomo?".

La quistione è posta in modo insidioso perché contiene una presentazione non esatta di quello che dice il nostro sistema, di quello che dice Marx, di quello che diciamo noi. Si potrebbe riassumere ancora: "Dal momento che per conoscere, per risolvere i problemi di questa eterna ricerca e di questa eterna lotta voi dite che avete bisogno di un naturalismo che sia al tempo stesso umanesimo, avete continuamente bisogno dello scontro tra l'uomo e la natura, come si è evoluto l'uomo? Come ha proceduto l'uomo quando non c'era pensiero nel cosmo e in nessuna parte? Come si sono formate le basi, le stratificazioni della nostra attuale costruzione biologica e sociale in quelle epoche durate milioni, miliardi di anni in cui la materia esisteva ed evolveva, si riscaldava, si raffreddava, si scomponeva, si atomizzava, si dissolveva in particelle nucleari, si riaggregava in corpi celesti, quando non era presente nessun rappresentante della nostra specie?".

"Quella tale società per azioni in cui noi stiamo trasformando l'umanità, non aveva mandato indietro nel tempo un suo rappresentante per portare il suo contributo a questa integrazione dialettica che voi fate ora. Perciò, evidentemente, la vostra analisi è artificiale, mentre la cosa diventerebbe pensabile se svincolassimo lo spirito dalla materia, se ne facessimo un assoluto, lo stesso che mistici, metafisici o idealisti hanno chiamato Dio, che Hegel ha chiamato appunto Assoluto e che Marx dimostra come sia lo stesso Dio di ritorno. Allora il pensiero prende una entità e una essenzialità sua propria che è indipendente alla materia. A un certo momento il pensiero, che è esistito ab eterno, ha stabilito di concretarsi in materia e quindi dar luogo alla creazione. Diventerebbe logica solo la ipotesi creazionistica. Invece la vostra ipotesi è ancora più assurda di quella dei materialisti duri e puri, i quali affermano crudamente che la materia c'era, per un certo tempo si è scaldata, si è raffreddata, si è condensata, poi, ad un certo punto, le ha fatto comodo di mettersi a pensare alla maniera umana".

Prova "scientifica" di pensiero pre-esistente

[L'ultima frase del nostro interlocutore] in un certo senso è anche esatta, e non ce ne scandalizziamo. Ma a noi sembra che dovremmo rendere meno cruda questa maniera di collegare l'attività pensante e l'attività della materia e quindi avremmo escogitato una soluzione ben più difficile di quella degli antichi spiritualisti creazionisti, più difficile persino di quella dei moderni materialisti o positivisti borghesi. Siccome il problema è un problema che veramente ci assilla, cerchiamo di dare una risposta, ma naturalmente io non posso pretendere di [risolvere tutto da solo, perciò mi farò aiutare dagli scienziati nostri contemporanei che hanno avuto un'idea brillante].

[Occorre premettere che] sistemi stellari lontani possiedono sistemi planetari fra i quali ve ne sono quasi certamente alcuni con pianeti su cui vivono umanità pensanti; le quali forse, quando il nostro sistema solare si è formato, già studiavano e già avevano percorso tutto il cammino, religione, scienza, filosofia comprese. Avevano perfino scoperto la telegrafia senza fili, e il loro sviluppo scientifico era tale che avevano già viaggiato, erano venuti sulla Terra e, a suo tempo, avevano poi potuto insegnare qualche cosa agli uomini. Ma allora è vero che il pensiero in certo modo è eterno quanto la materia. Noi sfuggiamo a questa obiezione contro la quale Marx ci ha messo nell'avviso dicendo: "Non lasciatevi imbrogliare dal problema delle origini perché possiamo rispondere che pensiero e materia si condizionano l'uno con l'altra; pensiero senza materia non ce ne può essere e neanche materia senza pensiero". A Marx si può adesso rispondere nel senso che una parte della materia, in un angolo del cosmo, ha sempre pensato: non eravamo noi uomini, erano altre specie che avevano allignato su un altro pianeta e che ora, naturalmente, saranno morte, ma in quelle epoche erano civilissime, erano avanzatissime e ci hanno trasmesso pensiero e conoscenza. Si tratta solo di un'ipotesi, è vero, e per costruirci su una tesi scientifica se ne dovrebbe pur dare qualche prova.

Allora la "prova" l'hanno tirata fuori gli scienziati russi, naturalmente. Che cosa hanno raccontato? Che in tempi antichissimi una nave astrale, partita da chissà quale di questi pianeti, ha attraversato tutti quanti gli spazi ed è venuta a sbarcare sulla Terra. Tra le altre cose quegli scienziati hanno spiegato che questi appartenenti ad una umanità del pianeta lontano erano straordinariamente evoluti e hanno anche insegnato molte cose agli uomini; che non erano ancora in grado di capirli perché erano ancora primitivi. Tuttavia conoscevano a fondo l'astronomia dato che – così ci spiega lo scienziato russo – certe nozioni astronomiche erano state apprese direttamente dai visitatori spaziali (per esempio egli pretende che si sapesse già dei satelliti di Marte). Poi che cosa è successo? Qui lo scienziato ve lo racconta e vi dimostra che le prove scientifiche si troverebbero anche nella Bibbia. Ora vi leggo la notizia.

Cronache dell'archeologia spaziale

Questi della nave spaziale, dopo aver soggiornato sulla Terra e insegnato l'astronomia e altre cosette agli uomini, avevano deciso di andarsene. Ma pare avessero un eccesso di combustibile nucleare (ché la loro nave viaggiava a combustibile nucleare mentre i nostri razzi viaggiano ancora a combustibile chimico, non siamo arrivati ancora a fare viaggiare nello spazio un satellite atomico). Simili informazioni non so naturalmente dove le abbia prese lo scienziato russo, comunque l'enorme nave spaziale aveva una riserva di combustibile nucleare, forse di uranio, di cui, chissà perché, ci si doveva disfare prima di cominciare il viaggio di ritorno. Non fu però lasciato sulla Terra, fu fatto scoppiare, come una vera bomba all'uranio, al plutonio, all'idrogeno, non so.

Comunque questi esseri intelligentissimi, che avevano già tenuto tanti corsi universitari ai poveri uomini nostri antecessori, li avevano avvertiti di allontanarsi perché l'operazione di bruciare il combustibile nucleare era distruttiva, e chi fosse stato colpito dalle radiazioni a breve distanza sarebbe morto. Perciò dissero: "Noi ce ne andiamo. Vi abbiamo insegnato un sacco di cose. Vi salutiamo affettuosamente. Coltiveremo i migliori rapporti diplomatici e torniamo a casa nostra. Spostatevi, perché facciamo questo servizio sennò la nave non può partire". Alcuni di quelli non si sono spostati e sono tutti quanti morti. La prova starebbe nella Bibbia dove si racconta della distruzione di Sodoma e Gomorra e del fatto che la moglie di Lot, essendosi voltata indietro a vedere la distruzione della città, sebbene gli angeli di Dio l'avessero avvertita di non farlo, si è trasformata in statua di sale. Questa statua di sale sarebbe un campione di quei corpi che sono rimasti bruciati, per effetto della civiltà americana, a Nagasaki e ad Hiroshima. Allora, per vedere se tutto ciò [può corrispondere a una teoria degli inizi del pensiero sulla Terra], vi leggo prima la notizia e poi il brano della Bibbia in cui si racconta la distruzione di Sodoma e Gomorra. La notizia da Mosca è del 9 febbraio. Sono costretto a leggerla in inglese e quindi la tradurrò di qua, come viene, viene.

"Viaggiatori dallo spazio esterno devono aver atterrato sul nostro pianeta molto tempo fa in una gigantesca nave spaziale e hanno tentato di comunicare con i molto primitivi abitanti che allora l'abitavano".

Ciò ha detto uno scienziato sovietico d'oggi, il signor Agrest professore di scienze fisico-matematiche. Lo ha detto nel giornale Literaturnaja Gazeta… Ehi! Su questo giornale letterario ci scrive uno scienziato: sapete una buona cosa? Che la divisione del lavoro incomincia a cessare. Come testo letterario infatti può andare abbastanza bene.

"E, dopo avere studiato questo pianeta, i visitatori spaziali devono avere fatto esplodere la loro riserva eccedente di combustibile nucleare avvertendo la popolazione locale in modo che non dovesse morire per lo scoppio atomico. Allora essi ripartirono verso lo spazio, probabilmente da una speciale piattaforma di lancio costruita fra le montagne del Libano".

Poi vengono le "prove". Lo scienziato continua:

"La nave spaziale raggiunse la Terra da zone remotissime dell'universo, ad una velocità vicina a quella della luce. Quando stava a quasi 40 mila chilometri dalla Terra ridusse la sua velocità a 3 chilometri al secondo e, facendo agire le sue macchine, rimase sospesa sulla Terra come un satellite artificiale".

Vedete che è anche informatissimo. Di lassù i visitatori spaziali incominciarono a guardare come stavano le cose qui da noi.

"Quindi i visitatori, dopo aver scelto un posto conveniente, scesero sulla Terra. Atterrarono nel Libano vicino a quella valle dove la Bibbia dice che stavano Sodoma e Gomorra" perché – spiega – nessuno ha ancora risolto il mistero della Terrazza di Baalbek: un'alta piattaforma nelle montagne del Libano fatta di enormi tavole di pietra".

Non so se gli archeologi sappiano dove stavano Sodoma e Gomorra, se in Libano o intorno al Mar Morto, ma egli dice che quattro fatti sostengono la teoria dei visitatori spaziali. Primo fatto:

"Oggetti cristallizzati chiamati tectiti sono stati trovati sulla Terra, specie nel deserto libico. Essi contengono isotopi radioattivi dell'alluminio e del berillio che mostrano come il loro minerale sia perlomeno vecchio di un milione di anni, e come siano stati prodotti a temperature estremamente alte. Nessun tentativo di penetrare il mistero della loro origine ha avuto finora successo. Non si è potuto spiegare da dove giungano questi speciali materiali radioattivi che hanno [un decadimento] di più di un milione di anni e che si son conservati fino a oggi. Potrebbero essere i prodotti di un missile-sonda usato dai viaggiatori spaziali nel tentativo di trovare un buon terreno di atterraggio sulla superficie della Terra".

Agrest crede che la terrazza di Baalbek costituisca gli avanzi di una piattaforma di lancio costruita dai viaggiatori spaziali, o perlomeno qualche cosa che essi edificarono in commemorazione della loro visita sulla Terra. Mette in evidenza che la terrazza è comparativamente vicina al deserto libico dove sono state trovate la maggior parte delle tectiti, quei tali minerali radioattivi misteriosi. Dunque… Sodoma e Gomorra sono sotto il Mar Morto o in Libano?... Che significa "comparativamente"?… Ehm!... è quel che dice anche qui… Ah, ecco! Secondo fatto:

"Anche i Manoscritti del Mar Morto, testi che hanno confermato la Bibbia e scoperti in una grotta nei pressi di Qumran, descrivono la distruzione di Sodoma e Gomorra. E nessuno può negare che questo evento abbia la capacità di attrarre enormemente l'attenzione di un uomo moderno con un minimo di familiarità con la fisica nucleare".

Insomma, chi legga di quella distruzione capisce subito che si trattò di una bomba nucleare. Io, veramente, i Manoscritti del Mar Morto non ce li avevo. Ma avevo una volgare Bibbia di quella dei parroci, e da quella vi posso propinare le citazioni. Forse, però, saremo più informati da Agrest, secondo il quale gli antichi testi confermano la distruzione atomica delle città di Sodoma e Gomorra. Non so se quelle pergamene contengano un servizio giornalistico più diffuso di quello della Genesi che io vi leggerò, da cui si possa dedurre tutto questo. Comunque, secondo me, è la leggenda biblica ad essere riportata nei Manoscritti del Mar Morto e non viceversa.

La leggenda, ripresa da Agrest, dice che le genti furono avvisate di abbandonare l'area della futura esplosione, di non rimanere all'aperto e di non aspettare il lampo. Quelli tra i fuggitivi che guardarono indietro, volsero il loro sguardo e morirono. Questo conferma infatti il perché la moglie di Lot fu trasformata in statua di sale dato che si era voltata. Qui c'è evidentemente qualcosa che non va: quelli che furono colpiti dalle radiazioni delle bombe di Hiroshima e Nagasaki, anche se voltavano il sedere, furono fregati lo stesso! Accecati e trasformati in statue di sale. Non si capisce bene come cammini questo ragionamento. Passiamo al terzo fatto:

"Alcune informazioni sopra i corpi celesti erano inesplicabilmente conosciute in tempi nei quali non si potevano trovare strumenti per ottenerle", dice Agrest, e nota che "Jonathan Swift descrive le caratteristiche più interessanti dei satelliti di Marte 150 anni prima che questi satelliti fossero scoperti. Un'ipotesi è dunque che negli antichi tempi vi fossero popoli con una buona conoscenza dell'astronomia. Ma la storia moderna non riporta niente di essi".

Non ricordo di aver letto nei Viaggi di Gulliver una descrizione dei satelliti di Marte. Sarà qualche altro scienziato. Ma qui lo dice Agrest, andatelo a domandare a lui. Io vi ho dato l'indirizzo: Literaturnaja Gazeta. Voi scettici siete pure capaci di scrivergli una lettera. Questa ipotesi – che vi fosse una popolazione primitiva, prima evoluta e poi completamente scomparsa dopo aver lasciato alcune tracce della sua conoscenza ereditata dal cielo – è già di per sé pienamente discutibile. Ma che Swift sapesse dei satelliti di Marte perché quelli della nave spaziale, al tempo di Abramo, avevano lasciato detto come giravano, questo mi pare un poco arrischiato.

Ma Agrest suggerisce sempre una spiegazione, appunto. E siamo al quarto fatto:

"Durante la loro permanenza sulla Terra i viaggiatori spaziali tentarono di fare sviluppare molto le conoscenze della popolazione terrestre".

Ecco che veniamo al dunque. Ho voluto citare le teorie di questo scienziato perché in esse c'è immischiato direttamente un altro percorso per la formazione della conoscenza umana e per la risoluzione di questa terribile quistione che è la teoria marxista della conoscenza: la provenienza extraterrestre del conoscere umano.

Il materialista Yahveh e l'immediatista Abramo

Allora, il fatto come lo racconta la Bibbia è questo: a Sodoma e Gomorra facevano – non sarò io a entrare nei particolari adesso – quello che tutti sanno, cosa che dette molto fastidio al Padreterno perché, naturalmente, se l'uomo deve diventare un tutt'uno con la natura non deve procedere contro natura. Il che è poco ma sicuro. La storiella è un po' lunga, ma la riassumo brevemente. Secondo la Bibbia il Signore viene in Terra di persona e si porta una squadra di angeli-poliziotto come un commissario di Pubblica Sicurezza. Dunque si presenta con alcuni esseri, che erano appunto degli angeli, suoi strumenti. Si avvia verso Sodoma e Gomorra soffermandosi a confabulare con Abramo per mettere a punto i suoi progetti, mentre gli angeli vanno a vedere come si comportavano quelli in città; e non alziamo i veli dinanzi allo spettacolo che si svolse sotto gli occhi angelici. Secondo Agrest, ancora una prova che si trattava di una pattuglia spaziale:

"Il Signore adunque disse: Certo il grido di Sodoma e Gomorra è grande, il loro peccato è molto grave. Ora, io scenderò e vedrò se son venuti all'estremo come il grido ne è pervenuto a me; e se no, io lo saprò. Quegli uomini adunque, partitisi di là, si inviarono verso Sodoma e Abramo stette ancora davanti al Signore".

Qui Abramo incomincia a fare una specie di difesa di tipo parlamentare dei suoi compagni di Sodoma e di Gomorra, cerca di convincere il Signore a rinunciare alla strage e gli dice:

"Faresti tu pur perire il giusto con l'empio?"

Perché capisce che l'intenzione del Padreterno è quella di distruggere le intiere città. Dice: Ma saranno proprio tutti peccatori? È giusto fare perire il buono per colpa del malvagio? La quistione è interessante perché si potrebbe ricollegare al fatto che il Padreterno dimostrava di essere un buon marxista: la storia è andata sempre avanti calpestando gli individui. Se quelli lì continuano, si sarà detto, succede che fanno diffondere quel fenomeno su tutta la Terra, e così la produzione degli esseri umani non si verifica più mandando a carte quarantanove tutto lo scartafaccio di Roger. Sarà opportuno distruggere l'intera popolazione. [Ma Abramo si appella]: non tutti avranno preso questa strada contorta, non dovranno essere distrutti lo stesso, eccetera. Il discorso tra Abramo e Yahveh è tale che il dio si mostra molto più marxista dell'uomo: Abramo è un vero immediatista, è un piccolo-borghese volgarissimo. E insiste:

"Forse vi sono cinquanta uomini giusti dentro a quella città; li faresti tu eziandio perire? Anzi, non perdoneresti tu a quel luogo per amor di quei cinquanta che vi fossero dentro? Sia lungi da te il fare una cotal cosa! il far morire il giusto con l'empio! Il giudice di tutta la Terra non farebbe egli diritta giustizia?"

Yahveh sapeva che laggiù cinquanta non ci stavano proprio, perché quando c'è l'ideologia dominante non c'è niente da fare, sono infettati tutti quanti. Perciò non si faceva di queste illusioni. Comunque in un momento di pazienza dice:

"Se io trovo dentro alla tua città di Sodoma cinquanta uomini giusti io perdonerò a tutto il luogo per amor di essi".

Vedete che democrazia esiste nelle antiche mitologie: Abramo discuteva col Signore prima che il verdetto fosse emanato, gli abitanti di Sodoma e Gomorra avevano diritto alla difesa, per cui quest'ultima parla e parla. Vedete quanto è tenace questo Abramo, che si umilia ma insiste:

"Ecco, ora ho io pure impreso di parlare al Signore, benché io sia polvere e cenere. Siccome ho il coraggio dinnanzi a Dio di fare questo discorso. Forse ne mancheranno cinque di quei cinquanta uomini giusti. Distruggeresti tu tutta la città per cinque persone?".

Il Signore, accomodante, si presta a questo dialogo tremendo:

Yahveh: "Se io ve ne trovo quarantacinque, io non la distruggerò".

Abramo: "Forse ne troveranno quaranta".

Yahveh: "Per amor di quei quaranta io no'l farò".

Abramo: "Forse se ne troveranno trenta".

Yahveh: "Io no'l farò se ve ne trovo trenta".

Abramo: "Ecco, ora io ho impreso di parlare al Signore. Forse se ne troveranno venti".

Yahveh: "Per amore di quei venti io non li distruggerò".

Abramo: ''Deh, non adirisi il Signore, io parlerò sol questa volta. Forse se ne troveranno dieci".

Yahveh: "Per amore di quei dieci io non li distruggerò".

Quando il Signore ebbe finito di parlare ad Abramo, con gran dimostrazione di democrazia e pazienza, questi non ebbe più il coraggio di fiatare. S'era dimostrato peggio di un mercante cinese.

"Egli – il Signore – se ne andò ed Abramo se ne ritornò al suo luogo. Ora, quei due angeli giunsero in Sodoma in su la sera e Lot sedeva alla porta di Sodoma. E come egli li vide si levò per andar loro incontro e si inchinò verso terra e disse: Orsù, signori miei, io vi prego, riducetevi in casa del vostro servitore e statevi questa notte ad albergo e vi lavate i piedi. Poi domattina voi vi leverete e ve ne andrete al vostro cammino".

Lot era un uomo giusto, e risultò lui solo. Notate anche l'ospitalità, che presso gli antichi Semiti era sacra come per tanti popoli di allora. Gli angeli-astronauti però mostravano di non accettare, ché dovevano fare il loro controllo sulla piazza.

Ed essi dissero: No, anzi, noi staremo questa notte in su la piazza. Ma egli fece loro gran forza tanto che essi si ridussero appo lui ed entrarono in casa sua. Ed egli fece loro un convito e cosse dei pani azzimi".

Mi pare che questa tradizione biblica sia ancora rispettata qui a Firenze: il pane che ci cuocete, che mangiamo qui, è senza sale. Vedete che ci sono questi ritorni storici a grandi cicli.

"Cosse dei pani azzimi ed essi mangiarono. Avanti che si fossero posti a giacere, gli uomini della città di Sodoma intorniarono la casa, giovani e vecchi, tutto il popolo, fin dalle estremità della città. Chiamarono Lot e gli dissero: Ove sono quegli uomini che sono venuti a te questa notte? Menaceli fuori, acciocché noi li conosciamo".

Eh già, non gli volevano solo fare un solenne pagliatone anche se come angeli erano immateriali. Sta di fatto che quelli mangiarono la foglia: gli stranieri sono venuti a distruggere la città, si dissero e, invece di difendersi con la eloquenza di Abramo, si volevano difendere con le armi. Lot era un uomo giusto, quindi i casi che nascevano, nascevano. Allora per farli stare buoni tenne un atteggiamento conciliatorio:

"Uscì fuori a loro, in sulla porta, e si serrò l'uscio dietro e disse: Deh, fratelli miei, non fate male. Ecco, io ho due figliole che non hanno conosciuto uomo. Deh, lasciate che io ve le meni fuori e fate loro come vi piacerà. Solo, non fate nulla a questi uomini perciocché per questo essi sono venuti all'ombra del mio coperto".

Insomma, Lot piuttosto che dar loro gli uomini – chissà che cosa gli fanno, si disse – propone le figlie, pensando che il Signore si sarebbe offeso di meno. Da questo si dimostra che la Bibbia è una lettura utile per i marxisti ma, secondo i borghesi, non troppo indicata per signorine. I sodomiti rifiutarono le ragazze, naturalmente.

"Ma essi gli dissero: Fatti in là! Poi dissero: Quest'uomo è venuto qua per dimorarvi come straniero eppure fa il giudice. Ora, noi faremo peggio a te che a loro. Fecero dunque gran forza a quell'uomo, Lot, e si accostarono per romper l'uscio. E quegli uomini stesero le mani, ritrassero Lot a loro dentro la casa, poi serrarono l'uscio. E percossero d'abbarbaglio gli uomini ch'erano alla porta della casa, dal minore al maggiore, onde essi si stancarono per trovar la porta".

Quegli uomini, cioè quegli angeli-astronauti che erano venuti prima, tenevano delle piccole armi a combustibile nucleare. Fecero alcuni lampi e i malviventi si allontanarono, eccetera.

"Quegli uomini", cioè gli angeli, " dissero a Lot: Chi dei tuoi è ancora qui? Fa uscire da questo luogo generi, figliuoli e figliuole e chiunque è de' tuoi in questa città". Magari per contarli e vedere se arrivavano a cinque. "Perciocché noi di presente distruggeremo questo luogo perché il grido loro è grande nel cospetto del Signore. Il Signore ci ha mandato per distruggerlo. Lot, adunque, uscì fuori e parlò a' suoi generi" – cioè quelli delle figliuole che qui si scopre erano già promesse a marito – "e disse loro: Levatevi, uscite da questo luogo, perciocché il Signore, di presente, distruggerà la città. Ma parve loro ch'egli si facesse beffe".

I generi credettero che Lot li burlasse e fecero spallucce: questo è pazzo, si dissero; perciò nessuno si mosse.

"Come l'alba cominciò ad apparire, gli angeli sollecitarono Lot dicendo: Levati. Prendi la tua moglie e le tue due figliuole". Le stesse rifiutate da quelli di prima. "Ché talora tu non perisca nell'iniquità della città".

Quindi ecco il conto che si ritrova il Padreterno: Lot, la moglie e le due figlie: erano quattro che se ne volevano venir via. Cinque non li ha trovati e quindi ha avuto corso la distruzione della città.

"Ed egli s'indugiava, ma quegli uomini presero lui, la sua moglie e le due figliuole per la mano, perciocché il Signore voleva risparmiarlo e lo fecero uscire e lo misero fuor della città. Quando li ebbe fatti uscir fuori, il Signore disse: Scampa sopra l'anima tua! Non riguardare indietro e non fermarti in tutta la pianura. Scampa verso il monte, che talora tu non perisca".

Adesso anche Lot si mette a polemizzare, come Abramo, col molto democratico Padreterno di quei tempi e dice: non ce la faccio, sono vecchio:

"Deh, no Signore. Ecco, ora il tuo servitore, che sono io, ha trovato grazia appo te. Tu gli hai usato gran benignità in ciò che hai fatto verso me conservando in vita la mia persona. Ma io non potrò scampar verso il monte, ché il male non mi giunga onde io morrò. Deh, ecco, questa città è vicina per rifugiarmici". Era una piccola città che si chiamava Soar, non so se esista o no. "Ed è poca cosa. Deh, lascia che io mi salvi là - non è ella poca cosa? - e la mia persona resterà in vita. E il Signore gli disse: Ecco, io ti ho esaudito eziandio in questa cosa per non sovvertere quella città della quale tu hai parlato. Affrettati, scampa là, perciocché io non vorrò far nulla finché tu non vi sia arrivato. Perciò quella città è stata nominata Soar. Il sole si levava in sulla terra quando Lot arrivò a Soar. E il Signore fece piovere dal cielo, sopra Sodoma e sopra Gomorra, solfo e fuoco dal Signore."

Era zolfo e fuoco. Era dunque un volgare combustibile chimico quello di cui si serviva il Padreterno. Non era combustibile nucleare, come pretende lo scienziato sovietico.

"E sovvertì quelle città e tutta la pianura e tutti gli abitanti di esse città e le piante della terra. Or la moglie di Lot riguardò dietro a lui e divenne una statua di sale. E Abramo levatosi la mattina a buon'ora andò al luogo dove si era fermato davanti al Signore. Riguardando verso Sodoma e Gomorra e verso tutto il paese della pianura vide che dalla terra saliva un fumo simile ad un fumo di fornace. Così avvenne che quando Iddio distrusse le città della pianura egli si ricordò di Abramo e mandò Lot fuori di mezzo alla sovversione mentre egli sovvertiva le città nelle quali Lot era dimorato. Poi Lot salì di Soar e dimorò nel monte insieme con le sue due figliuole, perciocché egli temeva di dimorare in Soar, e dimorò in una spelonca egli e le sue due figliuole".

Quindi si salvarono solamente Lot e le sue due figliuole. La Bibbia poi continua raccontando che, siccome non c'era rimasto più nessuno, e non si poteva di certo interrompere le riproduzione umana, le due ragazze fecero bere del vino al vecchio padre Lot e poi si misero a giacere insieme a lui ed ebbero due figli: uno generò i Moabiti e l'altro gli Ammoniti. Insomma, questa è la storia come tramandata dal mito.

Ogni rivoluzione è una marcia verso la "Terra promessa"

Ora, ho fatto questo piccolo intermezzo, cercando di renderlo poco noioso (e adesso conchiudo), per mostrare come l'ipotesi di Agrest – quella secondo la quale per risolvere il problema sulla teoria filosofica della conoscenza dovevano venire i viaggiatori spaziali a dare informazioni all'uomo – non è che esagerazione di una prassi, uno scherzo della fantasia come tanti, gabellato come scienza. La soluzione ovviamente deve essere un'altra, cioè questa: la conoscenza ha bisogno dell'azione. Come abbiamo appena stabilito, un primo teorema ci dice che la conoscenza, la scienza futura che sostituirà l'avvicendarsi delle filosofie, non può sorgere che dall'azione umana. Quindi la storia di tutti i trapassi precedenti da una forma all'altra, delle rivoluzioni delle forme di produzione nelle forme di proprietà e nelle forme di potere che le hanno accompagnate, produce materiali utilizzabili ai fini della formazione dell'ultimo risultato di cui deve pascersi – permettetemi il termine – la specie umana.

Anche i risultati biblici possono essere risultati rivoluzionari, purché non li si legga come ha fatto Agrest. Noi non possiamo collegare la storiella di Lot, di Sodoma e di Gomorra ad una crisi rivoluzionaria perché evidentemente occorrerebbe una fantasia quasi altrettanto sviluppata quanto quella dello scienziato russo. Ma vi sono indubbiamente altre fasi bibliche che corrispondono chiaramente a queste tappe fondamentali nella formazione del pensiero. Praticamente una parte dell'umanità ha camminato per tremila anni servendosi di questi versetti, di queste norme che si sviluppano attraverso documenti collocati esattamente nel tempo, così come possono essere i Dieci Comandamenti dati a Mosé, la legge delle Dodici Tavole, il Sermone della montagna tenuto da Gesù Cristo al momento del passaggio tra il Vecchio e il Nuovo Testamento, i Manoscritti economico-filosofici di Carlo Marx. Documenti che sono serviti per guidare l'umanità lungo i secoli, hanno costruito un substrato su cui lo sviluppo dell'umanità si è organizzato. Quando queste trame di organizzazione sono state insufficienti, sono intervenute nuove forze che le hanno spezzate; e nuovi testi, nuovi vangeli, nuovi miti, nuove scienze hanno sostituito ciò che precedeva.

Le verità non si trovano solo nella scienza escludendo la filosofia e viceversa, e neppure solo nella filosofia escludendo la religione. La menzogna, la verità e l'errore si trovano dovunque. E sono menzogne e verità a seconda della direzione da cui si guardano. In questo avvertimento ci potrebbe essere quello del Padreterno alla moglie di Lot: "Non guardare indietro". Bisogna guardare avanti, nella giusta direzione, per trovare la soluzione del problema. Quella guardò alla rovescia e rimase fregata. Comunque, perché dico che leggi come quelle dei Dieci Comandamenti o delle Dodici Tavole sono un frutto rivoluzionario e rappresentano un'epoca?

Praticamente la dominazione di classe, la istituzione di forme sociali oppressive nell'antichità si svolgeva attraverso le conquiste militari. Popolazioni semitiche avevano assoggettato l'Egitto e a loro volta erano state assoggettate, [episodio che forse passò nel mito con la storia biblica di Giuseppe]. Il potere della monarchia egiziana aveva a sua disposizione un'enorme massa di braccia per ordinare il corso del Nilo, innalzare piramidi e costruire templi – come è stato svolto nella riunione di ieri – ed era riuscito ad assoggettare completamente queste popolazioni ex nemiche e conquistatrici, intelligenti e civili che erano probabilmente antenate degli Ebrei giunti al Nord da Ur, con Abramo, molti secoli prima. Il mitico Giuseppe era diventato, in un certo modo, il contabile reale, il primo burocrate. Gli Ebrei erano stati forse trattenuti in Egitto non tanto per trascinare blocchi di pietra ed edificare piramidi quanto per collaborare alla grande amministrazione egizia, che è una delle prime, efficienti amministrazioni centrali che la storia ricordi.

Il loro distacco dal suolo egizio e dalla primitiva soggezione di classe per andare verso una nuova meta è una rivoluzione nazionale. Essa può essere posta all'inizio della sequenza descrittiva dei popoli soggiogati per liberarsi dai popoli oppressori. Mosé organizza una vera rivoluzione, la sua fuga verso la Terra Promessa è una vittoria rivoluzionaria. La leggenda racconta che Mosé, riuniti tutti quanti i suoi correligionari, connazionali e corrazziali, li sottrae all'Egitto per varcare il Mar Rosso: [ogni rivoluzione spiana la strada, apre il cammino all'asciutto e i nemici vengono travolti dalle stesse forze che permettono l'avanzata]. Gli Ebrei vanno dunque verso una terra promessa, come del resto tutte le rivoluzioni in cammino. I Dieci Comandamenti che Mosé riceve sul Sinai, lungo il percorso, rappresentano il programma di questa rivoluzione. Ed egli lo scaglia contro gli increduli che non vogliono pensare all'antica culla delle loro tribù, futuro territorio-nazione, come la leggenda ricostruisce, ma si accontenterebbero del poco pane e, secondo il testo, delle molte frustate ricevute dagli egizi. Una leggenda che per noi vale storia, che abbiamo diritto di maneggiare come tale, che oggi ha più validità delle menzogne sparse nelle storiografie dell'attuale banda brigantesca dominante rappresentata dalla borghesia capitalistica.

Questa visione della Terra promessa, dettata in mezzo alle rocce aride da cui Mosé fa scaturire acqua benedetta che darà luogo a rivoli, canali e torrenti, è un vero programma rivoluzionario. Poi verranno uva a grappoli grandi come caschi di banane; si potrà vivere in modo migliore di come si viveva in Egitto al tempo delle sette vacche grasse; gli Ebrei potranno sviluppare una civiltà superiore. Perché le tavole dei Dieci Comandamenti sono restate per tanti anni? Perché la Bibbia è restata? Perché era il programma di quegli antichi rivoluzionari, e noi siamo più vicini a loro che non ai borghesi atei, loro attuali negatori.

Rivoluzioni, sintesi ed esplosione di conoscenza

[La liberazione dall'antico seppur florido Egitto a favore della monoteistica civiltà patriarcale del deserto] è un'altra tappa della conoscenza. Era utile, per delucidare oggi il problema relativo alla costruzione di una teoria non filosofica della conoscenza, mettere a confronto la narrazione biblica con il pensiero di uno scienziato ufficiale capitalistico (perché tali sono gli scienziati russi). Noi stiamo con i dati del documento biblico, così come a noi è stato trasmesso, per quante possano essere le traversie e le manipolazioni che esso ha subìto nel corso dei millenni.

Nella realizzazione di una teoria della conoscenza sono determinanti quei momenti di slancio del pensiero umano che hanno coinciso con le fasi storiche della rivoluzione sociale dovuta all'infrangersi del vecchio modo di produzione. Gli Ebrei [per loro stessi] dovevano infrangere quel modo di produzione in cui venivano utilizzati come specie di schiavi in Egitto, e hanno dato luogo a quella rivoluzione che poi hanno chiamato "fuga" ed hanno costituito il loro nuovo regime, la loro nuova organizzazione nella loro antica patria. La Terra promessa loro descritta da Mosé [sarebbe stata retta attraverso] la legge dei Dieci comandamenti, e questa legge è rimasta come modello dell'organizzazione umana per generazioni future in una forma evidentemente superiore e molto più sviluppata di quello che poteva essere la costituzione della monarchia egiziana, di questi antichi poteri ultra-dispotici. Ora, la soluzione del problema ci dice che gli uomini sono presenti non solo [alla formazione della propria storia, ma anche alla formazione e alla definizione della propria conoscenza che trova la sua sintesi in miti, leggi, scienze, tecnologie], nel senso che solo quelle sintesi in grado di fissarsi come grandi pietre miliari sul cammino della storia sono utili per la realizzazione di una stabile teoria della conoscenza. Esse coincidono con le grandi rivoluzioni, una delle quali è la semitica, un'altra è la cristiana, un'altra è la borghese e l'altra sarà la nostra, la proletaria. E ci conducono anche a dare una prima risposta a quel problema che abbiamo affrontato, dinanzi al quale ci siamo fermati prima: cioè se si possa spiegare come abbiano funzionato la meccanica, la dinamica, la dialettica della natura, quando non era presente nessun pensiero, perché l'umanità non era ancora nata o non era ancora in grado di distinguersi dal resto del regno animale; soprattutto perché non possiamo credere che questo pensiero [fosse infine comparso di colpo con la creazione dell'uomo da parte di un Dio o con lo sbarco della nave spaziale, come s'è letto nei passi ripresi dalla Literaturnaja Gazeta].

La natura conosce sé stessa

Il problema si può risolvere affermando che soggetto della conoscenza non è solo l'uomo. La natura, di cui l'uomo fa parte, è soggetto della conoscenza [molto prima della comparsa delle specie viventi]. La natura ha conosciuto e conosce perché, anche senza vita, anche al solo livello del mondo inorganico, quello minerale, essa lascia impronte che corrispondono alla conoscenza di sé stessa. Il processo della conoscenza, attraverso cui il pensiero conosce il mondo, non ha nulla di originale, di miracolistico, di escatologico. È un processo senza finalismi idealistici che lo facciano distinguere da tutti gli altri rapporti tra un settore della natura e un altro. Per miliardi di anni non c'è stato il "settore Uomo" nella natura; c'erano gli altri settori che influivano tra di loro. Gli effetti astronomici e interstellari – intesi nel senso fisico-chimico e non nel senso delle migrazioni di umanità viventi alla Agrest – influivano sul decorso della rivoluzione dei singoli pianeti. Questi fenomeni hanno scritto la loro storia.

Che cos'è la conoscenza ridotta infine alla sua quintessenza? È memoria e relazione. Per la natura si tratta di avere registrato eventi e sequenze della propria dinamica evolutiva. E proprio per come e quanto l'ha già fatto, un miliardo o un milione di anni fa, noi possiamo conoscerla e interpretarla oggi. Più ancora potremo conoscerla e interpretarla domani, liberi da quei pregiudizi [che adesso fanno proiettare l'uomo capitalistico nelle società precedenti alla nostra e persino nel mondo animale, completamente antropomorfizzato]. Mosé ha registrato eventi or sono quattromila anni. Noi oggi interpretiamo con maggiore vantaggio di lui perché possiamo confrontare Mosé, se volete, con Cristo, con Bacone, con Voltaire e infine con Marx. Diciamo che ci è rimasta in ogni caso una traccia. Non l'hanno lasciata solo la vita umana e l'attività, la prassi, della umanità associata. L'ha lasciata anche la natura in sé stessa, uomo compreso.

Una delle tante tracce che la natura ha lasciato in sé stessa è la serie degli strati studiati dalla geologia. La natura scrive così la storia del pianeta da quando esso uscì dalla primitiva nebulosa. È materia di conoscenza per l'uomo d'oggi ma è anche lavoro di conoscenza fin da quando queste impronte restarono nei terreni che il geologo va ad esplorare e va a ricostruire. A questo proposito è particolarmente importante l'immagine che dà Marx del succedersi delle società (per esempio nei testi citati ieri da Roger) come si trattasse di strati geologici via via sovrapposti gli uni agli altri. C'è analogia sorprendente tra gli strati geologici accumulati con continuità nel tempo, poi spezzati violentemente nelle faglie, e le forme sociali ed economiche sovrapposte che ieri abbiamo chiamato primaria, secondaria e terziaria. Quindi, conoscenza [in quanto memoria generale della natura, scritta dalla natura per sé stessa].

Per noi, è ovvio, lo sviluppo della lotta sociale ha bisogno dell'uomo, perché è la specie vivente quella che [affronta fisicamente gli effetti prodotti dall'urto fra le classi]. La natura sembra non lottare, ma in realtà anch'essa lotta. Quando avvenivano le grandi convulsioni telluriche del vulcanismo primitivo dovute al fuoco interno, era una lotta della natura contro sé stessa, come lo sono le lotte di classe all'interno della specie. Potremmo continuare con gli esempi. Attraverso queste lotte che hanno lasciato i loro risultati, che hanno trasmesso le loro caratteristiche nel tempo, è possibile oggi conoscere, attingere informazione e materia, anche in senso utilitaristico. E ciò nonostante un miliardo di anni fa nessun uomo fosse presente per scrivere l'informazione, per registrarla, per mettere carbone o ferro nel sottosuolo. La natura si è registrata da sé, non aveva bisogno né di Dio né di una umanità, primitiva o civilizzata, per essere registrata. S'è scritta la propria storia da sola. La natura ha una propria memoria e ha offerto a noi i risultati in essa contenuti.

Noi non lavoriamo solo sulla memoria dell'uomo. Quest'ultima non è che una parte del patrimonio mnemonico trasmessoci dalla natura. Gran parte della dotazione su cui poggia l'umanità presente e, soprattutto, poggerà quella nuova attraverso il cervello sociale del nuovo partito, è di origine non umana. Persino gran parte del patrimonio del vivente si trova fossilizzato nella memoria della natura. Come si vede, il problema di una conoscenza senza spirito (ché non ci si venga a parlare di spirito in un mondo completamente minerale) è proponibile ed ha una soluzione in tre passaggi:

1) azione fisica;

2) registrazione-memoria;

3) interpretazione.

Noi possiamo interpretare solo perché c'è il determinismo di un'azione che produce effetti registrabili. Noi non facciamo altro che seguire un antico itinerario di eventi predisposti. Lo facciamo con attrezzature complesse e differenziate, determinate nel tempo con lo sviluppo scientifico e tecnologico, ma la materia che ci racconta sé stessa c'è già. Perciò non abbiamo bisogno, ribadisco, di risolvere l'enigma se debba prevalere la specie pensante o la materia passiva: sono tutte e due attive, tutte e due collaboranti, sono parte integrante di un unico sistema. L'antico enigma è stato sciolto in una concezione nuova e superiore.

Arte e scienza, intuizione e raziocinio, fede e prove

Spero di essere riuscito ad evitare un modo troppo involuto di comunicare e di avervi dato il più chiaramente possibile qualche elemento semilavorato per ulteriore elaborazione. Chiuderò con un ultimo accenno a proposito di "arte e scienza". Ho letto un articolo nella rivista Scienze, scritto da uno scienziato italiano dell'Istituto Romano di Fisica Matematica, in cui si tratta appunto il problema della conoscenza umana e si cerca di ritrovarne, come sempre avviene nell'epoca moderna, una soluzione che sta fra quelle di tipo spiritualistico e quelle che chiamerei di tipo facilistico.

Ci sarebbe una differenza qualitativa tra la conoscenza artistica e la conoscenza scientifica. Perché – si chiede lo scienziato – tutti i lavori filosofici e tutte le scoperte scientifiche sono temporanee, per cui vengono sempre nuovi filosofi, nuovi scienziati che offrono nuove spiegazioni, nuove teorie che si sostituiscono alle antiche? Lo scienziato, che lavora, che adopera come suo strumento la sua intelligenza – c'è qui un'immagine abbastanza interessante – è paragonabile a chi salisse una scala infinita di cui non si vedono né i primi scalini, quelli poggiati da qualche parte, né gli ultimi, quelli verso i quali sale: si arrampica scalino dopo scalino, ma non ha mai finito di salire. Egli muore, la sua generazione muore, la sua opera è dimenticata e sostituita da altre opere, ma la scala continua ed altri seguitano a salire su di essa senza fine. Quindi, ogni lavoro di scienza è tramandato, nel corso del pensiero dell'umanità e della conoscenza dell'umanità, come un lavoro provvisorio e destinato ad essere sostituito, come Aristotele fu sostituito da Galileo, a sua volta sostituito da Einstein: questa è l'immagine che adopera il nostro scrittore.

Il quale dice che, invece, per l'artista non è così. Il lavoro dell'artista sarebbe eterno in quanto perfetto nel momento stesso in cui si svolge, dato che l'artista non sale quella scala infinita ma raggiunge la sua conquista. Perché l'artista cerca con la forza dello spirito, che è un presupposto immanente ed eterno, un dato al di fuori della natura e dell'umanità. Quindi gli scritti di Omero, di Shakespeare, di Dante, di Goethe, sarebbero rimasti eterni senza perdere mai nulla del loro valore con lo svolgersi della storia dell'umanità. Quale ne sarebbe la ragione? Che l'artista procede per intuizione e lo scienziato procede per intelligenza.

Ora, noi rivoluzionari in quale di queste due schiere ci vogliamo collocare? Naturalmente non possiamo procedere per intelligenza, perché solo una società libera dalla dominazione di classe e dalle eredità di queste epoche sfavorevoli e penose potrà adoperare la sua intelligenza per costruire la scienza di domani e potrà salire al sommo della scala della conoscenza. Anzi, salirà molto più in alto lungo la scala di quanto non si sia mai potuto fare. Ma ciò non toglie che anche noi ci serviamo dell'intuizione. E forse per definire il movimento artistico, questa mostruosità che starebbe fuori dalla società e dalla materia, possiamo noi accettare una simile delimitazione? Per stabilire che tra arte e scienza c'è una profonda differenza di natura?

No e poi no. Noi negheremo l'esistenza di prodotti che facciano parte di un'attività conoscitiva di natura particolare, che è quella artistica, in cui sia affissata una eternità negata ai lavori scientifici, alle conquiste scientifiche. Prima di tutto questo non è esatto, perché vi sono certe opere della scienza le quali certamente resteranno eterne quanto resteranno eterni i versi di Omero e quelli di Dante: per esempio gli Elementi di Euclide, o Il Saggiatore e il Dialogo sui massimi sistemi di Galileo Galilei, o i Philosofiae Naturalis Principia Mathematica di Newton, perché la eleganza di queste opere è completa. Sono opere che contengono elementi di scienza ed arte; raggiungono la laboriosità paziente, analitica, dello scienziato e la sintesi potente dell'artista. E di tante altre opere potrebbe dirsi lo stesso; ma non ci dilunghiamo. Quindi arte e scienza in certi momenti si incontrano. Arte e scienza sono due aspetti analoghi della conoscenza umana, e possiamo affermare con certezza [che fanno parte entrambe del più generale processo di produzione e riproduzione della specie].

La differenza non va fatta dunque fra l'arte e la scienza, fra l'intuizione e l'intelligenza. È con l'intuizione che l'umanità ha sempre avanzato perché l'intelligenza è conservatrice e l'intuizione è rivoluzionaria. L'intelligenza, la scienza, la conoscenza hanno origine nel movimento avanzante (abbandoniamo l'ignobile termine di "progressivo"). Nella parte decisiva della sua dinamica la conoscenza prende le sue mosse sotto forma di una intuizione, di una conoscenza affettiva, non dimostrativa; verrà dopo l'intelligenza coi suoi calcoli, le sue contabilità, le sue dimostrazioni, le sue prove. Ma la novità, la nuova conquista, la nuova conoscenza non ha bisogno di prove, ha bisogno di fede! non ha bisogno di dubbio, ha bisogno di lotta! non ha bisogno di ragione, ha bisogno di forza! il suo contenuto non si chiama Arte o Scienza, si chiama Rivoluzione!

Rivista n. 15-16