Critica alla filosofia. Escursione con il metodo di Marx intorno alla teoria borghese della conoscenza e alla non-scienza d'oggi (4)
IV. Il moderno feticcio della scienza e della tecnica
Riunione registrata a Casale Monferrato il 10 luglio 1960
Concatenazione dialettica di argomenti
[Non è necessario ripetere all'inizio di ogni nostra riunione la cronaca di tutta la serie, ma essa si è aperta oltre dieci anni or sono come un tutto concatenato, quindi un collegamento è utile e necessario. Non si tratta di temi scelti a caso o isolati tra loro, e il loro insieme si va ordinando in un sistema organico e completo. Possiamo considerare che alcuni settori di questo nostro lavoro hanno già ricevuta una sistemazione soddisfacente, anche se non intendiamo dire che non si debba più tornarvi sopra o darvi ulteriori sviluppi. Altre facce della unitaria dottrina marxista sono oggetto di trattazione nelle riunioni nostre e sono state affrontate nelle ultime per essere ancora completate nella presente.
Molto evidente è stato, in queste riunioni, come si compenetrino e si sostengano vicendevolmente i vari temi trattati. Lo studio della parte economica, ad esempio, vale a dimostrare il triplice obiettivo di Marx, ossia la spiegazione del meccanismo dell'azienda industriale moderna, e la spiegazione della società capitalista come un tutto economico; di qui giungendo infine al punto supremo, alla dimostrazione del programma della forma comunista che succederà rivoluzionariamente al capitalismo, programma che si costruisce su continui riferimenti alla successione delle forme precedenti ed alla dinamica che in ciascuna di esse, storicamente, hanno presentato le forze e le forme di produzione e le classi sociali. Senza tale visione, generalmente storica, sarebbe stata impossibile anche la sola scienza economica del capitalismo con la previsione della sua caduta.
La parti essenziali, economica, storica e politica, troverebbero adatto luogo nel corpo di un lavoro unitario espresso in tesi, con buona sistematica e senza ripetizioni. E così anche quella parte del lavoro delle ultime nostre riunioni che ha fortemente interessato i compagni e che abbiamo indicato per brevità come "critica alla filosofia", dato che meglio si definisce in quanto demolizione critica di tutte le ideologie delle classi nemiche, fino a quella della moderna borghesia. Essa ideologia, apparsa con le glorie dell'illuminismo, va oggi sotto i nostri occhi naufragando in una scienza mentitrice ed oscurantista, i cui inganni superano di gran lunga quelli delle classi e forme più antiche, di fronte alle quali la borghesia si è vantata di essere esponente di progresso, civiltà, verità e saggezza, mentre non è alla loro altezza, nonostante la scienza e la tecnologia avanzatissime, utili solo alla sovrapproduzione di merci. Il proletariato, ad opera e colpa consapevole dei sacerdoti delle accademie venduti al falso, non se ne mostra oggi sufficientemente disincantato. Lo sarà quando avrà conquistata la tesi rivoluzionaria che dimostra come la forma borghese abbia dato (e dia) più sfruttamento, disumanamento, inganno, che non tutte le altre forme e classi che l'hanno preceduta nella storia e sono da essa diffamate.
Questo concatenamento di argomenti e il collegamento fra i compagni nel lavoro collettivo, fa sì che le nostre riunioni abbiano sempre più il carattere tipico di un vero movimento rivoluzionario, quello che vede privilegiato il lavoro anonimo, impersonale, organico, che si svolge in continuità, non esaurendosi nel giro dei periodici incontri, ma estendendosi lungo tutto l'arco dell'attività di partito. Così le riunioni generali rappresentano la sintesi di un lavoro più vasto, la messa a punto, il bilancio sommario dei risultati ai quali si è pervenuti attraverso un lavoro che non è accademico, fatto a tavolino, ma condotto innanzi fra le difficoltà della vita quotidiana e le vicissitudini della battaglia di classe. Questa sintesi è poi riportata sul giornale e ritorna a tutto il partito. Perciò le riunioni generali non sono tanto l'occasione per fornire ai gruppi un "prodotto finito" quanto parte di un processo per dare un nuovo colpo di scalpello collettivo a un tutto in formazione necessariamente semilavorato].
L'Enciclopedia comunista: semilavorato in processo continuo
[Abbiamo visto il gran quadro del passaggio dalla primitiva società comunista alle successive forme – classiste e quindi ognuna con un suo tipo di alienazione fra uomo e natura, fra l'uomo e gli strumenti del suo lavoro, i prodotti della sua fatica, le sue stesse condizioni di sviluppo biologico – fino al distacco totale e sempre più mortificante nella società capitalistica. Da questa, per la stessa determinazione necessaria, operante nei trapassi della storia antecedente, vi sarà il salto alla ripresa di possesso rivoluzionaria dell'armonia con la natura, alla società comunista, su un piano superiore. E i riflessi del nostro studio sui problemi vitali della tattica e della strategia del partito di classe sono stati sommariamente illustrati e completati dalla lettura di potenti e poco noti brani di Marx e di Engels. Ma la trattazione sarebbe incompleta se non collegassimo il tutto a temi che sembrano di maggior impegno ma che vanno assolutamente affrontati e collegati, rientrando nel tutto. Da un lato, lo sviluppo dei temi classici del marxismo; dall'altro la questione – resa ancor più attuale dai recenti sviluppi della tecnica e, parallelamente, dall'assordante propaganda conformista internazionale su razzi e satelliti – dell'atteggiamento del partito rivoluzionario marxista di fronte alla scienza. Più in generale di fronte ai problemi della conoscenza, e della contrapposizione, non accademica, non scolastica (e neppure "filosofica", ma di classe e di battaglia) fra la nostra visione del mondo, inseparabile dalla dottrina comunista, e quella borghese, riflesso delle esigenze di disperata conservazione dell'ordine della proprietà e del Capitale. La pubblicazione in extenso dei diversi rapporti su questo specifico argomento avrà inizio a partire dai prossimi numeri del giornale. Purtroppo la pochezza dei nostri mezzi ci ha impedito di farlo prima.
La situazione di isolamento del proletario, strozzato dall'opportunismo trionfante, limita il numero dei nostri seguaci, [ma traccia anche un] confine di acciaio contro tutti i settori avversarii, per cui non facciamo distinzione tra vicini e lontani. Il nostro è il lavoro di un numero esiguo di militanti senza protezioni ed intrallazzi, che strappano dal tormento della loro forza di lavoro il poco per vivere e il tempo da dare al partito, perciò non era tutto pronto quello che avrebbe dovuto essere il materiale elaborato per i temi della riunione di Firenze e non è pronto neppure ora. Esporremo dunque il materiale com'è, e ciò del resto è conforme alla nostra decisa affermazione di non avere nulla di letterario e di scolastico o accademico nel nostro operare, che non ha schemi e programmi ufficiali, non produce testi forbiti e rifiniti, ma avanza lottando tra disagi ed urti.
Lavoriamo a frammenti e non stiamo costruendo una enciclopedia comunista. Altrimenti non può essere, se condizione della nostra opera è lo schieramento della società nemica e la defezione decennale di schiere delle forze del nostro campo. Le enciclopedie possono essere rivoluzionarie anche senza essere sistemi immobili e di arrivo della conoscenza, e la classe borghese ne ha dato esempi che meritano la più grande considerazione, anche perché risolutamente ultra-personali. La nostra enciclopedia è il Manifesto dei Comunisti, Il Capitale, ecc., e non deve ingannare il fatto che le ondate del contrattacco della classe nemica (essa ancora giura oggi sia pure ipocritamente sulle tesi ormai trisecolari delle sue Tavole) ci riducono spesso a citare il solo binomio Marx-Engels come esponente della bandiera di milioni e milioni di militanti passati e futuri.
Mosca, dopo la grande restaurazione teorica del bolscevismo che aggiunse il nome di Lenin, nel liberarsi con movimenti grandiosi e geniali dei resti del compito storico, antifeudale (chiave russa della storia di Europa), alla via aspra della rivoluzione proletaria, poteva darci una enciclopedia integrata e inviolabile, ma le urgenze della storia lo impedirono fin dai primi congressi: la prospettiva della rivoluzione era, in quella fase, al tempo stesso troppo ricca di illusioni generose e di traditrici insidie. Non si poteva né si voleva fermarsi, si andò avanti accettando troppi amici ed alleati e rinviando le selezione a dopo la vittoria. La storia non ha scelte ma cause; e ne seguì la catastrofe. Se non si potette stereotipare un'enciclopedia quando eravamo troppo forti, non si può pretendere di farlo adesso che si è troppo deboli. Le tavole in cui i testi sono fusi nel metallo si riducono a lembi e brani, la cui sostanza è rigida e potente, ma i contorni sono volta a volta incompleti e discontinui. La rivoluzione di generazioni avvenire salderà insieme i pezzi che i nostri sforzi limitati ma non timorosi collegano alla trama del quadro originale già perfetto, come mille volte ripeteremo, oltre un secolo prima di oggi.
Quindi non: "parte filosofica della teoria marxista", bensì "critica di tutta la filosofia fino a quella del tempo borghese"; e quindi "critica anche della scienza fino ad oggi". Se si vuole, in positivo, "teoria marxista della conoscenza umana", che conduce alla conquista di una conoscenza non più individuale ma di specie, rispetto a cui miti, sistemi filosofici e bagagli scientifici delle società di classe cadono, tutti superati e sconfitti, massimamente e con più aspra condanna quelli moderni, deformi feticci della tecnologia e della scienza nel mondo borghese].
Uno studio aperto sulla teoria della conoscenza
Già alla Riunione di Parigi, con l'enunciazione di tesi economiche e sociali molto importanti erano state anche svolte delle argomentazioni che riguardano quei problemi che la cultura corrente è solita raccogliere sotto il nome di "posizioni filosofiche". Nelle riunioni di Torino, di Parma, di Milano, di Firenze, e anche nei resoconti, abbiamo ampiamente trattato tali questioni. È solamente accaduto, al solito per le esigenze del nostro lavoro, che il resoconto scritto della ultima riunione di Firenze sia arrivato fino alla trattazione dell'economia marxista, ma non si sia spinto fino alla trattazione della questione "filosofica" che noi ivi svolgemmo. E allora il suo resoconto si andrà ad accavallare, a sovrapporre, ad integrare con il resoconto della riunione attuale.
Questo determina sempre qualche piccolo inconveniente: per esempio, c'erano dei compagni che aspettavano di avere quei testi. Magari si potrà anche sviluppare la famosa questione che discutemmo riguardo all'ipotesi a proposito della descrizione biblica della distruzione di Sodoma e Gomorra, cioè se si potesse immaginare che questa fosse la trasmissione di un antico ricordo della discesa di esseri spaziali sulla terra. Alcuni compagni avrebbero avuto piacere di avere quegli sviluppi: quando verrà il momento li faremo avere. In ogni modo, naturalmente, non vi inseriremo tutto quanto il fascicoletto biblico che utilizzammo a Firenze. Riprenderemo il discorso alla fine della riunione. I mesi dell'estate sono utili anche a noi e con calma possiamo fare questo lavoro.
In quella terza seduta di Firenze, oltre all'economia marxista di cui abbiamo detto abbastanza, parlammo dello studio dei Manoscritti economico-filosofici, ci ricollegammo alla parte conclusiva del resoconto di Milano (riportata ampiamente nel resoconto sul giornale) e parlammo della famosa quistione dello scioglimento degli enigmi millenari che hanno affaticato l'uomo; il cui contrasto, la cui inconciliabilità è risolta in modo geniale dalla nuova costruzione data dal materialismo dialettico di Marx sui famosi contrasti uomo-natura, sensi-pensiero, moto-quiete, godere-soffrire, oggetto-soggetto, idea-fatto, ecc. Parlammo del valore della scienza, del socialismo scientifico. Accennammo all'argomento della tecnica moderna, su cui ora ritorneremo, ed esponemmo il nostro punto di vista, o meglio cercammo di esporre il punto di vista della scuola marxista, sul problema generale della conoscenza umana.
Se noi riteniamo che la conoscenza, l'ideologia in tutte le sue manifestazioni, la letteratura, la religione, la filosofia, siano le sovrastrutture sovrapposte alla struttura fondamentale delle forme di produzione, come abbiamo detto, facendo uno schema storico delle forme e dei modi di produzione, così dobbiamo essere in grado di fare uno schema storico delle sovrastrutture. Come il nostro schema contiene già, nelle sue grandi linee, una storia della tecnologia, così esso può contenere anche uno schema della storia della scienza e di quella della filosofia che viene ritenuta argomento separato; quindi uno schema della conoscenza umana. Come si sono evolute l'attività e la tradizione umane, così questo suo derivato, che è la conoscenza, si è sviluppato nel correre dei millenni, nell'alternarsi delle epoche storiche e nel concatenarsi di tutte le grandi arcate del ponte di cui abbiamo più volte parlato. La chiave della nostra posizione, contraria a quella di tutti gli altri, è questa: che c'è prima l'azione, dopo nasce il pensiero speculativo. Non è nato prima il sapere e poi l'agire. La conoscenza è venuta dopo: dopo si è organizzato il sistema di idee scritte, di idee diffuse, di idee propagandate. Tutto ciò si è avuto dopo che si erano determinate certe concomitanze nei sistemi di eventi e di atti umani.
Questa è la chiave fondamentale. Noi abbiamo trattato quindi il problema approfondendo poi l'origine del pensiero. E abbiamo affrontato la questione se il pensiero sia in qualche modo preesistito alla natura. Dal momento che noi abbiamo abolito il contrasto tra l'uomo e la natura, per cui possiamo sostenere che la natura pensa senza l'uomo, ci troveremmo nel famoso dilemma se sia nato prima l'uovo o la gallina. A questo problema la borghesia, uno scienziato borghese, ha voluto rispondere con la questione del pensiero extraterrestre giunto dallo spazio. Il che ci permise di raccontare, anche a titolo di svago e di alleggerimento, la storia dei viaggiatori spaziali che, nel partire, con lo scaricare il loro combustibile, avrebbero determinato la fiamma celeste descritta nella Bibbia, quella che distrusse Sodoma e Gomorra, come sarebbe dimostrato anche dalla nuova presunta conferma ricavata dai famosi manoscritti scoperti presso il Mar Morto.
Interessate dicotomie borghesi
Da tutto questo arrivammo alla parte conclusiva sulla funzione comparata della scienza e della religione. Perché qui la nostra soluzione è ben diversa da quella borghese: per noi non è vero che la religione rappresenta l'ignoranza e che, comparsa la scienza, la religione scompare. La religione per noi non è che un'anticipazione della scienza, mentre è la borghesia [che tratta la scienza come una nuova religione]. Venimmo anche alla comparazione borghese tra arte e scienza, rispondendo all'interrogativo che si erano posti alcuni pensatori, i quali si chiedevano come mai i ritrovati scientifici fossero così frequentemente mutevoli e rinnovabili, le teorie scientifiche fossero in generale caduche e provvisorie, mentre i grandi prodotti, i grandi capolavori del pensiero artistico sono rimasti immutati e si sono trasferiti attraverso i millenni, conservando intatta la loro suggestione, la loro potenza, la loro bellezza.
Svolgemmo la teoria che la spiegazione non era quella addotta, e cioè che la intuizione facesse più presto della intelligenza. La nostra teoria è che le grandi opere artistiche sono la traduzione di linguaggi emanati in epoche illuminanti, che sono epoche di rivoluzione; mentre la trasmissione dei risultati scientifici è tipica delle epoche di sonnecchiamento dell'umanità. Sarebbe il famoso: Quandoque bonus dormitat Homerus (talvolta anche il buon Omero s'addormenta).
Omero sarebbe sorto, secondo la nostra spiegazione, in un'epoca rivoluzionaria. E così tutti i grandi poeti. Dante è sorto alla nascita del tempo moderno per il contesto italiano, e Shakespeare per quello inglese. E le loro opere sono rimaste immortali perché nascevano veramente in una delle epoche sviluppanti dell'umanità (quelle epoche che altri chiamano "momenti progressivi"), in quei rari momenti in cui l'umanità scatta verso nuove conquiste, mentre la scienza dipende troppo dalla tecnologia materiale. La tecnologia dipende dai rapporti delle forme di produzione. E sulla tecnologia influisce in maniera negativa, come sul suo sviluppo e sul suo rinnovamento, la conservazione delle forme di proprietà e delle forme di produzione, come delle maniere di organizzazione della società e dello Stato. Quindi viene esercitata una pressione antisviluppante, antiprogressiva; e questa stessa pressione è esercitata sulla cosiddetta scienza positiva.
Ecco perché, in genere, l'arte è rivoluzionaria e la scienza è controrivoluzionaria. Ecco perché, in genere, la cultura è conformista, reazionaria, asservita alla classe dominante. [La cultura di un'epoca appare come fenomeno isolato che l'artista sembra impersonare come individuo. La rivoluzione in fondo si presenta sempre in anticipo, a minoranze, gruppi di avanguardia, piccoli partiti che vanno controcorrente. Quando le rivoluzioni classiste hanno raggiunto i loro scopi, allora la cultura d'avanguardia diventa dominio generale delle varie scuole, delle accademie e delle chiese, tutte forme equivalenti di trasmissione di ideologie. Allora la cultura, con l'arte, diventa oscurantista e controrivoluzionaria].
Nei nostri vari rapporti abbiamo dunque svolto ampiamente la questione della geniale definizione degli enigmi contenuta nei Manoscritti economico-filosofici del 1844. E abbiamo insistito, e torniamo ad insistere, sul fatto che questa parte della nostra critica, di come si sono evolute le sovrastrutture, si incontra perfettamente, si collega perfettamente agli altri rapporti e alle altre relazioni che riguardano ricerche storiche, com'è stata quella delle forme di produzione precedenti il capitalismo; oppure ricerche economiche, come quelle sulla struttura attuale americana e sulla struttura attuale russa, o sulla teoria generale del capitalismo contenuta nell'opera fondamentale di Marx.
Parallelamente, noi svolgiamo la critica del pensiero filosofico, e ritorniamo alla famosa questione della opposizione della materia e del pensiero. Abbiamo dato, nel corso delle scorse relazioni, la spiegazione del contenuto del nostro materialismo dialettico; e qui c'è un'altra dimostrazione che in un certo senso (come diceva lo scienziato borghese citato a Firenze) l'intuizione arriva prima dell'intelligenza, e la prima scienza a sorgere è quella che sembrerebbe, secondo il sistema degli accademici, l'ultima, cioè la scienza sociale; mentre la scienza della natura è per sua struttura destinata a procedere lentamente. Questo in un'altra visione contrapposta, come vedremo subito, a quella dei borghesi.
Sulla famosa opposizione quindi della materia e del pensiero noi abbiamo risolta la questione dicendo che è la materia, sono i fenomeni della materia che spiegano quelli del pensiero. Però la scienza non è arrivata ancora a dimostrarci come ciò avvenga nell'individuo; non ha saputo ancora dimostrarci come accade che nell'individuo entri la porzione di arrosto con l'insalata ed escano le tesi che noi andiamo ad enunciare; la scienza non ha saputo ancora dimostrarci che processo si svolge in quei meccanismi, in quegli organi del nostro corpo che servono alla nutrizione e alla digestione, tra l'assorbimento in genere delle energie esterne e la produzione del nostro pensiero. [Una dimostrazione del nostro metodo materialista e dialettico è stata data nella scienza sociale. Solo in seguito tale conoscenza sarà trasferita nella scienza dell'individuo, cioè come conoscenza profonda della fisiologia, biologia, ricambio, genetica e formazione del pensiero dell'individuo in quanto parte di una comunità. E l'individuo, proprio come parte di un tutto, la trasferirà dopo nelle scienze naturali].
Mi rendo conto di enunciare un bel paradosso – prendetelo per quello che vale e perdonatemi se per adesso può sembrare una fesseria – ma è ben possibile che vengano in coda la stessa scienza della natura, la cosiddetta scienza esatta, cioè la fisica, la chimica e quelle scienze che maggiormente fanno uso dell'algoritmo matematico per svilupparsi e che oggi si dice attraversino una crisi profonda. Come si può spiegare tutto questo? La prima scienza che si è approssimata alla verità rivoluzionaria è stata la scienza della società. Essa ci ha dato la certezza della dipendenza del pensiero dalla materia e dall'ambiente. Ma la certezza completa, la prova, sarà raggiunta solo dopo, nella scienza globale dell'organismo umano sociale [e a maggior ragione delle parti individuali che lo compongono, con la loro minuta fisiologia, ecc.]. Probabilmente si arriverà ancora dopo alla scienza esatta della dinamica puramente fisica: dalla scienza cosmologica a quella delle strutture atomiche ed sub-atomiche che si porteranno dietro tutti i dubbi attuali; dubbi che, crediamo, non saranno sciolti prima della rivoluzione comunista. La prima certezza è dunque nella scienza più complessa, quella dell'uomo come società in rivoluzione; poi verrà nella scienza dell'uomo come individuo; e poi ancora verrà la scienza dall'universo all'atomo come sistema completo, la cui complicazione le ultime scoperte tendono a dimostrare sempre maggiore. Per ora la borghesia spiega per vie puramente classiste e tecnologiche. Cerca in maniera indeterminata e contraddittoria, e finora ha saputo scoprire una sola cosa: la morte, la maledizione e la distruzione dell'umanità.
Feticcio della scienza e della tecnica
La scienza riprenderà certo il suo ciclo utile rispetto all'attuale ciclo negativo. Ed è qui necessario seguitare la nostra lotta contro la suggestione che ha sempre esercitato sul proletariato il preteso sviluppo della tecnica e della scienza capitalista. È un falso mito quello dello sviluppo continuo, è una completa illusione, la quale deriva soltanto da un fatto sociale, cioè che per obbligare l'umanità a soddisfare i suoi bisogni, consumando una produzione completamente inutile e per nove decimi dannosa, si vantano poi gli espedienti attraverso cui detta produzione è stata preparata. Si articolano e si ingarbugliano in maniera assurda i ritrovati di una simile scienza la quale, nella sua complicazione, è arrivata a smarrire completamente quella via unitaria che soltanto può condurre al cammino della verità.
In questo pezzo di carta, al punto in cui siamo arrivati nell'esposizione, ho messo il titolo: Il feticcio della scienza e della tecnica. All'inizio di ognuno dei grandi archi, dei grandi cicli della storia, le religioni e le mistiche importanti sono nate in forma nobile, per finire poi in un'ignobile forma feticistica. Il dio del sermone della montagna è ancora una figurazione nobile dei destini dell'umanità; secondo Marx, il dio dei preti, a partire dall'ultimo feudalesimo, è sopravvissuto magnificamente nel capitalismo, con l'attuale papa, lavoratore improduttivo per definizione, ridotto a pura immagine. Utili e portatrici di sviluppo nella curva ascendente, degenerate nella curva discendente, le religioni hanno infine pura forma di feticcio.
Marx scrisse un capitolo per dimostrare il carattere di feticcio della merce. Essa, basata su valore confrontabile, all'inizio fu veramente una conquista. Quando fu possibile far sì che un oggetto, un temperino, una forbice, fosse costruito rapidamente in migliaia di esemplari, diventando articolo di commercio, in modo che tutte le famiglie ne fossero munite, in quel momento fu un passo avanti. Perché prima lo stesso oggetto era un complicato affare che ognuno doveva fabbricare da sé. Oggi la merce è diventata un feticcio e Marx lo dimostra nel più brillante dei suoi capitoli.
Il valore di scambio contenuto in essa ha soffocato la sua caratteristica di oggetto utile, la sua funzione umana iniziale. Come al tempo di Marx era un feticcio la merce, e fu possibile dimostrarlo nella sede della scienza economica e sociale, così noi possiamo oggi affermare che anche la vantatissima tecnica produttiva e la scienza esatta moderne sono diventate un feticcio, sono una semplice caricatura, un complesso freudiano, il parto di un ambiente oscurantista, in mano a una ganga in completo intrallazzo. Il fine è la tresca economica, la produzione di plusvalore in una forma più ignobile di quella prodotta nelle prime manifatture, cui abbiamo accennato a proposito della loro iniziale fase eroica.
Certo, gli antichi avevano meditato sul fatto che il pensiero umano non può essere preesistente alla materia [ma, non possedendo ancora il concetto di evoluzione], avevano dovuto immaginare che vi fossero delle entità, o naturali o in forma di dei, che prima dell'uomo avessero creato il cosmo e poi l'uomo stesso. Per essi il pensiero sarebbe potuto esistere prima dei corpi materiali e prima dei corpi organici solo nella forma di entità creatrice. Come abbiamo visto, i borghesi, per poter risolvere questo enigma, da noi trattato lavorando sul mito di Sodoma e Gomorra, [hanno invece fatto ricorso a quel surrogato di creazione che è la Conoscenza portata dagli extraterrestri agli uomini primitivi]. Ma non ci assediano solo con l'espediente dell'anticipata evoluzione di un lontano pianeta rispetto alla nostra Terra; con queste antiche popolazioni extraterresti discese sulla Terra; con i risultati di una scienza che ci sarebbe stata portata migliaia di anni fa bell'e pronta e purtroppo perduta (oggi non l'avremmo ancora raggiunta): ovunque vengono alla carica con il moderno culto della scienza ciarlatanesca, peggio della fantascienza. Oggi ci raccontano di un pensiero che possa trasmettersi attraverso lo spazio per cercare una "coesistenza pacifica", attraverso le telecomunicazioni di tipo radio da un pianeta all'altro.
Fino a qualche tempo fa le nostre più "dirette conoscenze" (un'espressione, come vedremo subito, inadeguata e impregnata di scientismo da università popolare borghese) si limitavano al Sistema Solare. In realtà, per esempio, gli antichi sapevano conoscere [anche senza "toccare con mano" e anche adesso si conosce lo spazio meglio con le macchine e con le deduzioni scientifiche che non "andando a vedere" di persona]. Oggi anche i romanzieri della fantascienza devono ormai ammettere, tutti lo ammettono da tempo, che nei pianeti intorno al Sole non è pensabile l'esistenza non solo di una umanità, ma neanche di una qualche specie organica animale, forse addirittura vegetale. Sugli altri pianeti non sono scientificamente supponibili forme di vita come quelle che conosciamo, perché tutte le condizioni fisiche di temperatura, di magnetismo, di elettricità e di chimismo delle atmosfere sono tali da essere inconciliabili con esse.
Perché c'è bisogno di immaginare altre umanità?
Altre popolazioni, se esistono, devono esistere su pianeti appartenenti ad altre stelle. Allora si è cercato di indirizzare i moderni radiotelescopi verso quelle stelle meno lontane dalla Terra e che hanno probabilmente un sistema di pianeti. Si tratta di strumenti atti a captare, invece delle radiazioni luminose, le onde elettromagnetiche, fra le quali possono esservi segnali emessi da una civiltà. Le stelle più vicine, tra le quali si potrebbe pensare che intorno ad esse vi siano sistemi di pianeti, e magari uno nelle condizioni paragonabili a quelle della Terra, quindi a un pari grado di evoluzione biologica, sarebbero Mira Ceti e Alfa Eridani. Siccome le stelle si calcolano oggi a miliardi e ognuna può avere decine o dozzine di pianeti, il grado di probabilità [di trovarne uno con condizioni adatte] sarebbe tale che ogni tanto potrebbe esservi un pianeta su cui vivono degli esseri pensanti. Bisognerebbe però riuscire a provare che da questi sistemi, dai loro pianeti, partano dei segnali teletrasmessi captabili dai grossi rivelatori moderni, dai radiotelescopi, in modo che si possano registrare e analizzare. Gli scienziati dicono che l'indagine potrebbe avere, ragionevolmente, un risultato. Dicono che, a distanze ormai misurabili in anni-luce, per le principali e più vicine di queste stelle, sia possibile ricevere un qualche segnale.
Se è vero che i segnali inviati da oltre un milione di chilometri dalla Terra dagli Sputnik e dai Lunik lanciati dai russi, o dai Pioneer lanciati dagli americani, sono stati captati, è però molto difficile che si possa arrivare alle migliaia di milioni di chilometri, perché l'intensità di un segnale, qualunque esso sia, trasmesso spazialmente, anche in modo direzionale, diminuisce con il quadrato della distanza. È molto poco verosimile che sia captabile un segnale radio artificiale partito da un sistema planetario abitato, sia pure relativamente vicino come quello ipotizzabile per Mira Ceti o Alfa Eridani o da un'altra stella non molto lontana dalla Terra, perché la distanza è tale che, a mio avviso, il segnale non perverrebbe. Se dei segnali pervengono, sono segnali dovuti a radiazioni cosmiche che fanno assegnamento su fonti di energia interstellare su cui abbiamo cognizioni molto vaghe, e probabilmente sono di tale potenza da riuscire ad impressionare i nostri ricevitori.
Gli scienziati hanno fatto in pratica questa ipotesi: se si riesce a captare un segnale che non abbia oscillazioni e alternanze a casaccio, dovute a fenomeni naturali, ma sia un segnale pensato perché presenta regolarità nelle intermittenze, una specie di segnale Morse, tanto per dare un'idea, [allora siamo di fronte a un'intelligenza extraterrestre]. Il fatto che noi non riusciamo a decifrare [i segnali che ci arrivano dallo spazio] – dicono gli scienziati – è un problema puramente fisico-tecnico, non teorico, perché se questo segnale riusciamo a farlo captare dal nostro apparecchio, noi riusciremo sempre a capire se ha un ordine oppure no. [Potremmo addirittura decifrarlo come vogliamo].
È un po' come quando la polizia, nel processo di Roma ai comunisti, nel 1923, decifrò alcuni dei nostri criptogrammi. Si vantava di poter decifrare qualunque scritto criptografico. Allora noi ci difendemmo dicendo che era vero, che qualunque scritto criptografico si poteva decifrare; ma era altrettanto vero che lo si poteva decifrare in tutti i modi in cui lo si voleva decifrare. Quindi se anche li avevano decifrati, questa non era una prova giudiziaria per poterci condannare: erano loro che erano riusciti a mettere tutte quelle lettere in un certo ordine. E citammo il famoso romanzo di Gulliver in cui un tale viene condannato perché aveva scritto una frase che diceva: "Mio fratello Tom ha le emorroidi". Anagrammando questa frase in inglese era risultato "Farò morto il re io Tom" e diventò una prova per impiccare costui perché aveva scritto su quel pezzo di carta di voler ammazzare il re. I criptogrammi si possono decifrare con un poco di buona volontà, ma se ne cava tutto quello si vuole, non quello che con la nostra chiave, che abbiamo soltanto noi, vi si legge. Questa fu una manovra difensiva da parte di imputati che non volevano essere fatti fessi dinanzi al meccanismo giudiziario borghese, dimostrando che la loro decifrazione non conduceva a prove.
Ovunque la stessa materia per ogni forma di vita
Comunque, questi scienziati affermano che [un messaggio proveniente da un'intelligenza extraterrestre] lo si potrà sempre riconoscere. A dire il vero si tratta di una vecchia idea che avevamo avuto anche noi, ai primi entusiasmi per la Rivoluzione d'Ottobre: se si fosse potuto trasmettere un segnale nello spazio, esso sarebbe ritornato con la risposta. Si risaliva all'emozione che aveva provato Schiapparelli una notte, osservando Marte, quando col suo cannocchiale egli credette di vedere le famose macchie lineari che chiamò "canali" e che sembravano rappresentare i principali poligoni regolari, il teorema di Pitagora, eccetera. Ciò avrebbe dimostrato che esistevano gli abitanti di Marte e che pensavano come noi.
Sarebbe stata una dimostrazione, per altra via, che tutte le umanità pensanti nate sui diversi pianeti [hanno una unitaria teoria della conoscenza], costruiscono la stessa matematica, la stessa geometria, e quindi hanno una stessa norma nel contare, nel disporre le note e gli intervalli musicali, eccetera. Perciò, captando un loro linguaggio sarebbe stato possibile riuscire a decifrarlo come un messaggio in codice. Cosa però vera fino ad un certo punto, perché noi potremmo invece sostenere che, se il pensiero nasce dalla materia e se la conoscenza è una funzione dello sviluppo della specie, possiamo tutt'al più affermare che tutti gli scambi di pensieri, tutte le lingue di tutti i popoli della Terra, hanno un'origine comune e si possono ridurre l'uno all'altro.
[Ma ciò potrebbe non valere fra pianeti diversi, addirittura fra determinazioni assai diverse anche sulla Terra. Infatti] a questa unità non si è ancora arrivati neppure qui da noi. [Perché, per esempio, se tutte le lingue della Terra hanno le stesse determinazioni, ve ne sono alcune che resistono alla decifrazione?] La lingua etrusca e quella minoica non si è riusciti ancora a leggerle. La tesi dell'unità universale di pensiero è una ricaduta nel presupposto idealistico che chiunque pensi, chiunque scriva, chiunque elabori un messaggio per determinare comunicazione fra elementi pensanti, applichi uno standard fondamentale. Nel caso della musica, per esempio, dovrebbe esservi ovunque lo stesso standard nato dalle note di Guido d'Arezzo. Ci si potrebbe ritornare. Ora, sarebbe assai arduo dimostrare [che determinazioni diverse producono risultati uguali, sarebbe alquanto anti-materialistico. La conoscenza giunta dallo spazio extraterrestre e adatta per l'umanità della Terra] è evidentemente una supposizione arbitraria fatta con spirito idealistico, puramente fantasioso, che serve per imbottire il cranio alle genti d'oggi. Si ritornerebbe all'ipotesi fondamentale idealistica: "In principio era il pensiero" o il [Verbo].
[Solo per via materialistica e con un buon maneggio della dialettica si potrebbe addivenire ad un'unità di risultati sulla base di determinazioni invarianti. Si tratta però di individuarli e la via potrebbe essere questa: il nostro materialismo ci dice che il pensiero procede dalla materia. Noi non sappiamo come potrebbe succedere che dalla stessa materia nasca un ipotetico pensiero universale, comune agli abitanti di tutte le galassie, ma è certo che la materia ha una costituzione unica in tutto l'Universo]. Chimicamente è divisa in certi tipi di molecole; esse si distinguono secondo la composizione dell'atomo, secondo il suo schema, che sta diventando sempre più complicato, con le sue numerosissime particelle (protoni, neutroni, elettroni, eccetera); tutto l'universo è costituito di particelle uguali che, combinate, danno luogo a tutti gli elementi, compresi quelli che servono alla vita. Di questo son fatti tutti gli uomini, tutte le loro cellule, tutte le loro molecole. E tutti gli uomini non sono che cellule di tutte le società, che si presentano con la stessa stratificazione geologica del tableau sociale di classe di Roger, ed entro questi strati potrebbe esserci lo stesso sistema di conoscenza. Se la materia è la stessa in tutto l'universo anche la conoscenza, in fondo, potrebbe essere la stessa in tutto l'universo.
E ciò varrebbe per la nostra conoscenza, per il pensiero, per le parole che frullano nella nostra testa e che escono in questo momento dalla mia bocca, tutto procederebbe da un'elaborazione complessa che avviene nel nostro organismo, nella sua vita animale, in simbiosi con quella vegetale a sua volta poggiante sul mondo minerale, gli atomi, eccetera. Una cosa del genere potremmo dire [rovesciando gli assunti idealistici], se scoprissimo che si riesce a captare un segnale intelligibile da qualche pianeta distante milioni di milioni di chilometri da noi. Non certo che avremmo così la dimostrazione dell'esistenza di un dio antecedente a tutti i sistemi solari e a tutti i loro pianeti, un dio creatore di pianeti, di Soli, di umanità; che abbia creduto di ubicarle in qualche punto dell'universo, tante o poche, [ma stampate a sua immagine e somiglianza e quindi tutte gemelle].
Si conquista lo Stato, non la Scienza
Quando abbiamo sviluppato i criteri di arte e scienza, alludevamo alla mistica della scienza [in quanto irrazionale adesione ad un programma ritenuto eterno]. Noi diciamo che arte e religione anticiparono la scienza [che conosciamo] di millenni e millenni; esse erano la scienza unica e si manifestarono ben più vere dei primi conati scientifici dei pitagorici, degli atomisti o degli eleatici; conati transitori, caduti sotto le successive conquiste fino all'inizio della società borghese, con le sistemazioni ben diverse di Galileo, di Newton, di Lavoisier. Oggi tutto è ancora rivoluzionato con nuove teorie, vantate dagli ultra-modernisti, mentre invece gli antichi risultati dell'arte--religione-scienza sono rimasti stabili.
Non riteniamo, evidentemente, che l'arte sia esatta e potente come mezzo analitico quanto la scienza; ma come mezzo di sintesi ha certo anticipato la scienza, è stata una prima apparizione della scienza. Lo stesso possiamo dire della mistica antica, la quale si confonde con l'arte. La prima religione è arte, canto, danza, armonia con la natura. Le prime manifestazioni di riconoscimento di un dio – cioè di un ente primordiale come modo intuitivo di valutare la complessità dei fenomeni che il cosmo fa svolgere intorno a noi – si sviluppano in forme che hanno dell'immagine, del suono, della musica, del canto, della danza, una concezione unitaria. I primi poemi sono cantati, non sono ancora scritti. E si dice che l'aedo cieco Omero (e i rapsodi che lo rappresentavano, ve n'erano diversi), girava le città cantando le sue composizioni, anche perché non le poteva ancora scrivere, dato che la scrittura non era ancora diffusa. Esistendo solo la trasmissione mnemonica, la forma poetica e cantata si ricorda meglio e la si ripete tal quale. Anche in ciò l'arte anticipa di molto la scienza, la quale deve aspettare secoli, millenni, per utilizzare razionalmente e fissare la scrittura, per giungere alla stampa, alle macchine per scrivere, ai ciclostile con i quali noi, molto umilmente, duplichiamo i nostri testi. La trasmissione primitiva avveniva con un sistema semplice, cantando e quindi fissando in poesia la composizione. Forse il canto è nato prima della frase articolata, così come la poesia è nata prima della prosa, l'arte e la religione sono nate prima della scienza.
Nulla di tutto questo è stato inutile. Anzi i grandi avanzamenti sono stati il risultato delle poche, vitali e feconde svolte che si sono periodicamente inserite nel lungo cammino percorso dall'umanità. L'arte perciò è rivoluzione. Il conformismo scientifico e accademico è feticcio, è deformazione, è lezioncina recitata a memoria, detta come la può balbettare l'alunno ignorante quando recita nozioni senza essere padrone del linguaggio umano. Cosa che avviene in tutte le scuole, in tutte le sacrestie, in tutte le accademie e le università moderne.
Oggi domina il feticcio moderno della scienza e della tecnica. La mentalità per cui i proletari dovrebbero gramscianamente impadronirsi della scienza borghese, [della scuola in cui la si santifica o della fabbrica in cui la si adopera] è una mentalità completamente borghese e controrivoluzionaria. Vero è che si potrebbe ricorrere a quel tal passo di Marx o di Lenin, si potrebbero trovare numerosissime citazioni, in cui essi affermano che questi risultati della moderna tecnica industriale sono stati utili, sono serviti all'umanità per fare uno dei suoi balzi innanzi. La questione, rispetto a duecento anni fa, noi la risolviamo [con la dialettica unione degli opposti]. I primi proletari la posero nel senso che volevano distruggere le macchine. Allora era un atteggiamento preferibile [rispetto al diventare schiavi di esse]. Evidentemente quella prima posizione fu una posizione veramente rivoluzionaria rispetto al punto di inversione, di degenerazione e di infessimento a cui siamo arrivati in questa epoca. Il partito sedicente proletario ha fatto molti passi indietro rispetto a quella situazione in cui i proletari avevano il coraggio di disprezzare il macchinismo. [Allora però Marx e Lenin, in base alla la teoria comunista, dovettero convincere il proletariato che quella nuova forma del processo produttivo era suscettibile di essere adoperata dalla società comunista; che poteva essere adoperata per servire all'uomo invece che asservirlo. La scienza e la tecnologia, liberate, potevano essere completamente antitetiche a questa società e utilizzate in modo completamente rivoluzionario e conforme alle esigenze dell'umanità].
Invece i cosiddetti comunisti d'oggi ragionano in ben altro modo. Ripetono con i borghesi che la scienza avrebbe un'origine recentissima, appena 360 anni fa. [Tutto quel che c'era prima non era scienza]. Pongono 360 anni al posto di 360 secoli, anzi millenni, durante i quali l'umanità deve pur aver vissuto e riprodotto la sua esistenza verso stadi sempre più alti. Durante i quali ha costruito sé stessa pezzo per pezzo. Non certo mettendo un sassolino sull'altro, ma edificando i suoi primi monumenti alla conoscenza e poi facendoli esplodere per edificarne subito degli altri, sintetizzando i risultati in una immane storia del fare, del disfare e del conoscere. Questi pseudocomunisti sono talmente borghesi intus et in cute, che per loro, ancora oggi, tutto è cominciato 360 anni fa con la rivoluzione scientifica dei Galileo, Descartes e Newton. Nessuno più di noi è ammiratore di Galileo e dello sforzo rivoluzionario che il suo pensiero ha fatto. Molte volte ci siamo serviti per il lavoro di partito di esempi tratti dal suo pensiero. Ma Galileo stesso dimostra che la sua maturità scientifica fu possibile proprio perché aveva ben digerito gli sforzi fatti dai suoi predecessori, Aristotele compreso, e altri che vennero molto prima di lui.
Senza una visione universale siete morti
Questa gentarella dice: ormai dobbiamo sentirci abitanti del cosmo perché l'uomo d'oggi, attraverso la scienza moderna, conosce in un modo diversissimo rispetto all'uomo antico e nel cosmo ci sa ormai andare. Non è vero! È vero tutto il contrario! Noi non ci sappiamo andare nel cosmo neanche col pensiero, e continuiamo a dire fesserie enormi, dimostrando i nostri limiti. Invece gli antichi credevano fermamente che non ci fossero limiti [alle possibilità dell'uomo e si sentivano parte del cosmo, altro che andarci. Quando si resero conto di pensare], sdoppiarono l'uomo in corpo e anima, collocarono l'uomo pensante in una entità imponderabile, e la lasciarono libera di vagare nel cosmo, là, nel cielo, fra quegli astri su cui si erano installati gli dei per dirigere le nostre azioni. [Da deterministi duri, credevano che fossero le stelle a disciplinare la vita dell'uomo, non le sue pensate]. Adesso, invece, col pensiero non ci sappiamo più sollevare da terra, ammesso che ci riescano gli Sputnik e i Pioneer.
[Tuttavia, già nella scienza d'oggi vi sarebbero elementi sufficienti per andare oltre alle concezioni banalmente lineari della maggior parte degli scienziati e dei loro ignoranti allievi politici. Einstein, per esempio, ha introdotto una nuova concezione dell'infinità dello spazio. Prima noi credevamo di poter procedere da un corpo all'altro attraverso il vuoto secondo una linea retta e riferimenti assoluti. Partendo dalla terra secondo una linea retta, avremmo potuto affondare nello spazio in un cammino infinito, senza mai raggiungere i suoi limiti e incontrando corpi astrali facenti parte di insiemi discreti, galassie e sistemi stellari, fatti di oggetti separati. Einstein, sulla base di Riemann e molti altri, ha invece dimostrato che non solo lo spazio ha una sua curvatura, ma che tutto l'universo non è fatto di oggetti separati ma da una dialettica fra massa ed energia, per cui vi è infinita correlazione fra quelli che riteniamo oggetti e i campi in cui essi sono immersi. Nella nostra debole testa la parola "onda" richiede un mezzo che ondeggia, come l'acqua del mare o l'aria in cui si trasmette un suono, fatti del tutto meccanici e noti. Il mezzo non viaggia, ma freme, trema, ed è l'onda che si trasmette da un punto all'altro. Non solo: anche il movimento di una massa non può essere inteso senza che vi sia, nello stesso tempo, gravità, cioè curvatura dello spazio. Ecco che allora gli antichi avevano ragione, contro i cultori moderni della separatezza delle cose: noi facciamo effettivamente parte integrante dell'universo, non ne siamo separati mai. Nello spazio non è possibile tracciare figure geometriche piane, o poliedri, cilindri, coni, come credevano i geometri da Euclide in poi: vi si possono tracciare solo traiettorie, curvate dall'infinita interazione fra gli elementi presenti nello spazio stesso. Se per questi signori scienziati borghesi il magnifico congiungersi del ponte millenario tra la conoscenza del futuro e quella del passato non corrotto dell'umanità è nulla, e tutto si riduce agli ultimi 360 anni, allora possono davvero chiudere bottega, per loro è davvero finita. Potrebbero addirittura far risalire la scienza alla vittoria di Stalin in Russia o, meglio, al discorso di Krusciov al XX Congresso di Mosca].
Quando il lavoro è umano, è gioia e soddisfazione
Questi signori delle università e delle accademie non ce la fanno ad avere una visione universale dei fatti e tantomeno capiscono la loro stessa società. Sono specialisti, frutto della divisione sociale del lavoro. La scuola è la fabbrica specifica che li produce per la conservazione della società borghese. Per gli antichi arte, scienza e lavoro era un tutt'uno; per i moderni vi è un abisso tra l'una e l'altra. Tutto ciò che esisteva in una società non ancora giunta alla esasperata divisione in classi, fino al Rinascimento compreso, era frutto di "arte", cioè di attività cosciente, non derivante dal semplice corso della natura.
[Saltiamo artificiosamente i gradini e le tese di questa scala più lunga di quella che vide Abramo. Il marxismo ha sempre nella sua critica collegati i grandi periodi aurei dell'arte alle grandi vicende del trapasso tra i modi di produzione. La storia dell'uomo è un accumulo continuo di conoscenza e quindi di forza produttiva sociale. A tale percorso continuo si sovrappone, senza contraddirlo, il percorso spezzato delle forme sociali. È proprio perché esiste questo dialettico sovrapporsi di dinamiche apparentemente opposte che noi possiamo con tutta sicurezza indagare sulle trasformazioni, utilizzando sempre lo stesso metodo. Il "principio di ricorrenza" che autorizza a trattare con quel metodo la serie infinita dei numeri, non è evidente, non è assiomatico, non è dimostrabile per logica deduzione, e quindi non si trova nelle categorie dello spirito, ove basti pescarlo. È un risultato raggiunto empiricamente dal collaborare di innumerevoli esseri nella vita della specie parlante, cantante e contante, mi si passi il bisticcio. Ebbene, come nel principio di ricorrenza sono contenuti i più ardui teoremi dell'alta aritmetica e la matematica tutta, così nelle sette note di Guido d'Arezzo sta la Nona Sinfonia di Beethoven. La complessità e l'altezza dipendono dalla lunghezza e dalla ricchezza del lungo cammino. Che sia stata scritta la Nona Sinfonia è straordinario. Ma non è meno straordinario che chiunque possa eseguirla. Senza di che essa non potrebbe commuovere anche uomini che non hanno una lingua comune. Il suo valore universale non era dunque dato in partenza, ma è l'arrivo di un lungo cammino, di infiniti camminanti, del processo di produzione e riproduzione della specie, in una parola del lavoro umano].
Marx stesso nei Grundrisse dice che quando il lavoro è umano, diventa gioia, soddisfazione. Egli tiene in gran merito Fourier per aver preveduto come scopo supremo non soltanto la soppressione della distribuzione capitalistica, ma la soppressione del modo di produzione capitalistico, e la loro sostituzione con una forma più evoluta. Per noi il "tempo libero" non esiste. Il tempo di lavoro è insieme tempo di vita, tanto consacrato al giuoco, quanto a svolgere attività superiori; esso trasformerà evidentemente colui che ne gode in un soggetto nuovo ed in quanto tale si applicherà anche nel processo immediato di produzione. Questo processo, nell'uomo dell'avvenire, sarà nello stesso tempo disciplina, esercizio applicato, scienza sperimentale, scienza creatrice che si oggettiva materialmente per il "nostro" uomo, quello che parteciperà a tutta la scienza accumulata socialmente.
Il processo di formazione dell'uomo, nella misura in cui il lavoro reclama di non essere separato in pratica manuale e intellettuale, con piena libertà di movimento fra i settori dello scibile umano – come nell'agricoltura – sarà anche un esercizio. Per pensare bene si dovrà avere anche un corpo sano, come dicevano gli antichi. Magari faremo trascinare ai giovani alcuni sacchi di grano sulle spalle, per mantenerli in una buona efficienza. E a quelli, dopo che avranno portato i sacchi diremo: adesso va a riposare per poter meglio leggere i filosofi, gli scienziati del passato, eccetera.
Non più divisione fra arte, scienza e lavoro
C'è uno scrittore-economista bohémien del XVII secolo, John Bellers, pluricitato da Marx, che è veramente in anticipo, per il suo tempo. Diceva che l'educazione deve comportare anche il lavoro produttivo:
"Un imparare ozioso è poco meglio che imparare l'ozio… il lavoro fisico è stato istituito originariamente da Dio… Il lavoro è necessario per la salute del corpo come il cibo per la vita, perché i dolori che ci si risparmia con l'ozio li si ritrova poi nei malanni… Il lavoro aggiunge olio alla lampada della vita, mentre il pensiero la accende… Un'occupazione puerilmente sciocca lascia insulse le menti dei bambini".
Bellers adopera Dio per darsi autorità, ma avete sentito quant'è bella questa frase: il lavoro alimenta la lampada e il pensiero l'accende. Uno ozia oggi e accumula le malattie che lo fotteranno da vecchio. Riassumendo: prima il lavoro, poi il pensiero, prima l'azione, poi la scienza. Per l'umanità è storia, per l'individuo è rapporto sociale. Sentite quest'altro famoso passaggio. Ve lo leggo, è di Marx:
"La divisione del lavoro offre anche il primo esempio del fatto che fin tanto che gli uomini si trovano nella società naturale, fin tanto che esiste, quindi, la scissione fra interesse particolare e interesse comune, fin tanto che l'attività, quindi, è divisa non volontariamente ma naturalmente, l’azione propria dell’uomo diventa una potenza a lui estranea, che lo sovrasta, che lo soggioga, invece di essere da lui dominata. Cioè appena il lavoro comincia ad essere diviso, ciascuno ha una sfera di attività determinata ed esclusiva che gli viene imposta e dalla quale non può sfuggire: è cacciatore, pescatore, o pastore, o critico critico, e tale deve restare se non vuol perdere i mezzi per vivere; laddove nella società comunista, in cui ciascuno non ha una sfera di attività esclusiva ma può perfezionarsi in qualsiasi ramo a piacere, la società regola la produzione generale e appunto in tal modo mi rende possibile di fare oggi questa cosa, domani quell'altra, la mattina andare a caccia, il pomeriggio pescare, la sera allevare il bestiame, dopo pranzo criticare, così come mi vien voglia; senza diventare né cacciatore, né pescatore, né pastore, né critico".
È il solito concetto che ritorna. Qui c'è un po' di polemica con Stirner che Marx ed Engels chiamano Sancio perché era il fautore dell'individualismo, dell'Io unico, dell'uomo che sovrasta su tutto e che naturalmente compone opere uniche come Mozart e Raffaello:
"Anche qui, come sempre, Sancio ha sfortuna con i suoi esempi pratici. Egli pensa che nessuno potrebbe 'fare al posto tuo le tue composizioni musicali, eseguire i dipinti da te abbozzati. Nessuno può sostituire i lavori di Raffaello'. Ma Sancio dovrebbe sapere che un altro, e non Mozart ha composto e steso la maggior parte del Requiem di Mozart, che Raffaello ha eseguito personalmente la minor parte dei suoi affreschi. Egli immagina che i cosiddetti organizzatori del lavoro vogliano organizzare l'attività totale di ciascun individuo, mentre proprio essi distinguono fra il lavoro direttamente produttivo, il quale va organizzato, e il lavoro non direttamente produttivo. Ma in questi lavori essi non pensano, come immagina Sancio, che ciascuno debba lavorare al posto di Raffaello, bensì che chiunque abbia la stoffa di un Raffaello, debba potersi sviluppare senza impedimento".
Chissà quanti Mozart e quanti Raffaello non si sono potuti sviluppare fin qui perché li hanno chiusi stupidamente in una bottega, in un atelier, a svolgere un'altra mansione.
"Sancio immagina che Raffaello abbia eseguito i suoi dipinti indipendentemente dalla divisione del lavoro che esisteva a Roma al suo tempo. Se confronta Raffaello con Leonardo da Vinci e Tiziano, vedrà come le opere del primo fossero condizionate dal fiorire della Roma dell'epoca, giunta al suo pieno sviluppo sotto l'influenza fiorentina, come le opere di Leonardo fossero condizionate dalla situazione di Firenze e quelle di Tiziano, più tardi, dallo sviluppo affatto diverso di Venezia. Raffaello, come ogni altro artista, era condizionato dai progressi tecnici dell'arte compiuti prima di lui, dall'organizzazione della società e dalla divisione del lavoro nella sua città e infine dalla divisione del lavoro in tutti i paesi con i quali la sua città era in relazione. Che un individuo come Raffaello possa sviluppare il suo talento dipende dalla divisione del lavoro e dalle condizioni culturali degli uomini che da essa derivano. Proclamando l'unicità del lavoro scientifico e artistico Stirner qui si pone ancora molto al di sotto della borghesia. Già adesso si è ritenuto necessario organizzare questa attività 'unica'. Horace Vernet non avrebbe avuto il tempo di dipingere la decima parte dei suoi quadri se li avesse considerati lavori 'che soltanto quest'unico può compiere'. A Parigi la grande domanda di vaudevilles e di romanzi ha fatto sorgere un'organizzazione per la produzione di questi articoli che dà sempre migliori risultati dei suoi concorrenti 'unici' in Germania. Nel campo dell'astronomia uomini come Arago, Herschel, Encke e Bessel hanno ritenuto necessario organizzarsi per osservazioni in comune e solo dopo aver fatto ciò sono arrivati a qualche risultato soddisfacente".
Anche adesso si sono ideati i trust di cervelli, come sapete. Possiamo lasciare andare l'arte, la letteratura, per adesso. Poi nel resoconto scritto svilupperemo questo concetto dell'arte-scienza-lavoro. L'ultimo passaggio di Marx ed Engels l'avevamo ricavato dall'edizione Costes alcuni anni fa, non ricordo se ce ne eravamo già serviti. Qualche parola ancora sulla classe improduttiva e poi un ultimo pezzetto di chiusura. In un passaggio della sua opera La Ricchezza delle Nazioni Adamo Smith dà libero corso al suo odio per la classe improduttiva:
"Il lavoro di alcuni dei più rispettabili ordini della società è, come quello dei domestici, improduttivo di qualsiasi valore e non si fissa né si realizza in alcun oggetto durevole o merce destinata alla vendita… Il sovrano, ad esempio, con tutti gli ufficiali civili e militari che sono a lui sottoposti, tutto l'esercito e tutta la marina, sono lavoratori improduttivi… Nella stessa classe si debbono annoverare tanto alcune delle professioni più gravi e importanti, quanto alcune delle più frivole: da una parte gli ecclesiastici, i legali, i medici, i letterati di ogni specie; dall'altra i commedianti, i buffoni, i musicisti, i cantanti, i ballerini, ecc.".
Qui però Smith al suo tempo non ci aveva messo gli ingegneri. Noi abbiamo decretato che gli ingegneri devono andare a tenere compagnia a tutti questi altri signori. È, quello di Smith, un linguaggio di una borghesia ancora rivoluzionaria che non si è ancora sottomessa tutta la Società, quando lo Stato e persino la Chiesa non si giustificavano ancora in quanto meri organi di amministrazione e di gestione degli interessi comuni a tutti i borghesi. Non vi ho letto il pezzo di Marx sui lavoratori improduttivi, là dove egli prende due esempi per dimostrare chi è il lavoratore improduttivo nel senso capitalistico: il papa e, scusate, la puttana. Poiché tutti i lavoratori improduttivi rientrano nelle spese di produzione parassite, devono essere ridotti al minimo indispensabile. L'idea presenta un interesse storico dato che si sviluppò in maniera diametralmente opposta alle concezioni dell'antichità e a quelle della monarchia assoluta o aristocratica uscita dalla rivoluzione del Medio Evo [società che non avevano ancora raggiunto il concetto di bilancio in valore]. Ma fin quando la borghesia è rivoluzionaria essa denuncia i lavoratori improduttivi e toglie lo stipendio a tutti i parassiti. Quando poi la borghesia conquista terreno, si impadronisce dello Stato, ecco che conclude un compromesso con i suoi antichi nemici. Nel momento stesso in cui gli ideologi si mettono al suo servizio essa li riconosce come carne della sua carne, ne fa dappertutto i suoi propri rappresentanti in organi che riflettono la sua propria immagine.
Quando poi la borghesia, consolidando il suo potere, diventa abbastanza evoluta e non si accontenta semplicemente di produrre, ma vuole anche consumare i prodotti fino ad allora riservati alle classi colte, ecco che affina il proprio gusto e incomincia a produrre ideologia in proprio. Dal momento che il lavoro intellettuale si mette sempre di più al suo servizio, ecco che la borghesia si sforza di giustificare non solo dal punto di vista ideologico, ma anche economico, coloro che fino a quel momento ha combattuto. Fra tutti si distingue lo zelo degli economisti, che sono come i preti feudali, lo zelo dei professori e degli scienziati, per dimostrare la loro utilità produttiva e giustificare i loro grassi stipendi.
Poi c'è una critica di Marx a Ricardo che corrisponde bene, come dicemmo ieri con la relazione di Giuliano, [alla situazione di oggi, cioè al continuo aumento delle classi medie dovuto alla grande disponibilità di plusvalore, disponibilità che fa ingrossare i ranghi di artisti, professori e scienziati] i quali, piazzandosi tra operai, capitalisti e proprietari fondiari, pesano sulla classe operaia, rinforzano la pace sociale e assicurano la potenza della classe dominante.