Newsletter numero 88, 21 gennaio 2006
La guerra del petroeuro
Dal marzo 2006 l'Iran avrà una propria Borsa merci dedicata al petrolio. Entra così in concorrenza con le uniche due ufficialmente operanti, il Nymex di New York e l'Internatonal Petroleum Exchange di Londra. Con la nuova Borsa si dovrebbe sviluppare un nuovo mercato non più fondato sul dollaro bensì sull'euro. Di fatto già dal 2003 i paesi europei pagano in euro parte del petrolio importato, soprattutto iraniano. L'Opec sta già passando dai petrodollari ai petroeuro, e considerando che anche la Cina e la Russia dal 2003 richiedono valuta europea per le loro merci e per le loro riserve, il mondo del dollaro è minacciato seriamente. L'ufficializzazione di un mercato parallelo a quello dominato dal dollaro potrebbe avere effetti esplosivi per l'intero sistema capitalistico. Con una svalutazione incontrollata del dollaro sarebbe infatti spezzato l'attuale equilibrio che permette agli americani di avere un enorme debito estero. I paesi che hanno accumulato enormi crediti verso gli Stati Uniti (Giappone e Cina assorbono da soli la quasi totalità del debito americano, circa 50 miliardi di dollari al mese), vedrebbero decurtato il valore sia dei propri crediti che degli interessi percepiti. Un allontanamento dal dollaro come moneta di scambio e di riserva costringerebbe Washington a ridimensionare il debito estero e a prelevare all'interno il plusvalore che ora viene dagli altri paesi. La pressione sulla popolazione statunitense sarebbe enorme. Ma che cosa possono fare gli USA? Per adesso sono insabbiati in Afghanistan e in Iraq, senza contare che non possono certo abbandonare le loro 800 basi militari sparse per il mondo. Intanto l'Iran mostra di non temere le minacce, sapendo benissimo che nessuno oggi può rischiare un blocco petrolifero del Golfo Persico col pericolo di una crisi mondiale. E l'Europa, la Cina e il Giappone si guarderanno bene dal fare una qualsiasi mossa che possa compromettere i loro approvvigionamenti.
2003: Teoria e prassi della nuova politiguerra americana - V.
L'invasione degli ultracorpi
2004: Petrolio
2005: Rumori
di guerra intorno all'Iran?
Un fantasma si aggira per gli Stati Uniti
Lo sciopero è stato sospeso, ma dopo 25 anni New York per qualche giorno ha rivissuto la paralisi. 33.700 dipendenti dell'azienda metropolitana dei trasporti erano entrati in sciopero. A Manhattan, Brooklyn, Queens, Staten Island e Bronx, dieci milioni di persone avevano dovuto andare a piedi. Come nell'aprile del 1980, quando il blocco totale di undici giorni aveva impedito ai pendolari di raggiungere il posto di lavoro. E la minaccia poi attuata di multare i sindacati (un milione di dollari) non era stata un deterrente. Anche oggi si minacciano multe folli. La mediazione è in corso, ma la massima contraddizione del capitalismo si è già palesata: ha bisogno vitale dei lavoratori ma non può pagarli. Le richieste dei lavoratori costerebbe più di mezzo miliardo di dollari, fino al 2008, che si aggiungerebbero alle perdite attuali dell'azienda. Così il diritto di sciopero resta legalmente sancito, ma chi sciopera è minacciato di rovina. Nonostante la storica difficoltà al radicarsi del programma rivoluzionario, i lavoratori americani hanno sempre dimostrato che nessun provvedimento legale o amministrativo li può fermare quando sono determinati a raggiungere il risultato.
2001: I
sedici giorni più belli (Lo sciopero alla UPS)
1951: Partito
rivoluzionario e azione economica
Il consumismo e i suoi impotenti oppositori
Il neo-papa Ratzinger copia Pacelli. Nel suo discorso natalizio ha ripetuto dopo 50 anni l'attacco diretto alle "degenerazioni" del sistema dominante, prima fra tutte il consumismo, specie quello natalizio. Una specie di edonismo pagano, in contrasto con l'ordine morale della Chiesa, unica ancora di salvezza per le masse disorientate che conducono una vita senza senso (Pacelli però precisava che la superstizione produttivistico-consumista era condivisa dal nemico sovietico dell'epoca). Ma, oggi come allora, l'omelia non può sortire alcun risultato. Il problema infatti non è di ordine morale bensì materiale: la super-produzione richiede un super-consumo, e l'uomo non è un consumatore di merci per disposizione innata o per legge divina. Varie correnti anticonsumistiche (cattoliche e non) sono oggi di moda, ma le accomuna un limite, cioè l'incapacità di "liberarsi" dal ciclo produzione-consumo, l'impossibile ricerca di un modo per "regolare" il capitalismo. Qualche "primitivista" cerca di uscire dalla contraddizione vagheggiando un mondo antitecnologico di hobbitt, ma Tolkien era uno scrittore di fantasie, non uno scienziato sociale. Invece proprio lo sviluppo delle forze produttive, paradossalmente, libererà l'uomo-industria dal dominio insensato della tecnologia consumistica.
1956: Sorda
ad alti messaggi la civiltà dei quiz
2001: Controllo
dei consumi, sviluppo dei bisogni umani
Anarchia ferroviaria a ritmo keynesiano
E' stata inaugurata la tratta ferroviaria dell'Alta velocità Roma-Napoli. In futuro dovrebbe consentire di dimezzare il tempo di viaggio rispetto all'Eurostar, ma a che serve viaggiare veloci? A che serve, nel caso specifico, ridurre i tempi su qualche chilometro, quando non si può garantire velocità, sicurezza, funzionalità e persino igiene sul resto della rete ferroviaria? L'investimento nell'Alta velocità ha comportato, solo nella finanziaria del 2006, un taglio del 92,6% degli investimenti "ordinari" per le ferrovie, nonostante la decrepitezzza del materiale rotabile e delle linee. Cresce quindi il numero degli incidenti mortali, conseguenza diretta della gestione anarchica della struttura ferroviaria, troppo spezzettata e priva di coordinazione tra i differenziati interessi privati. Il privato infatti amministra solo singole parti di un sistema che invece dev'essere trattato in modo unitario. Si tratta di disastri annunciati, visto che i meccanismi d'automazione della sicurezza coprono attualmente solo il 20% della rete. L'altra faccia della stessa medaglia è lo spreco sociale insito nelle "grandi opere", come la TAV, che non servono a niente, a parte la produzione fine a sé stessa tipica del keynesismo. Le perdite - inevitabili - vengono addossate all'intera comunità, e alle generazioni future, mentre l'azienda Stato si limita a far da mezzana dirigendo il traffico di valore dalle tasche di Pantalone a quelle delle aziende private. Si rinnova quindi il "miracolo" di produrre profitto da denaro sparso che solo radunato in grandi somme può diventare Capitale. Il meccanismo economico delle TAV non è diverso da quello delle Cirio, Enron, Parmalat, ecc.
1950: Imprese economiche di Pantalone
Nuove comunità di vita, tra scelta e necessità
Il co-housing nasce negli anni '70 in Danimarca. Si diffonde poi in Svezia, Olanda, Germania e, soprattutto, Stati Uniti. Ora lo si scopre anche in Italia, dove circa 200mila famiglie delle grandi città si mostrano interessate a sperimentarne gli effetti. Scelta di vita e necessità economica convergono e si confondono tra loro. Da una parte un risparmio sul costo dei servizi condivisi; dall'altra il bisogno di sviluppare relazioni sensate col co-abitante, nel tentativo di rifuggire dalle degenerazioni dis-umane. Stragi di famiglia, suicidi, ecc. sono infatti in crescita nel modello di famiglia mononucleare, dove l'isolamento egoistico prende sempre più il posto della vecchia mutualità reciproca. La natura umana, essendo sociale, non può fare a meno del contatto coi propri simili; e la formazione di intentional communities, collettività intenzionali formate sulla base di condivise esigenze materiali, rappresenta la manifestazione fenomenica del bisogno di recuperare un senso di appartenenza ad una "comunità di vita". Questi insediamenti a servizi condivisi riducono effettivamente i costi e le difficoltà rispetto ad un'organizzazione individuale dell'esistenza, ma ovviamente rappresentano delle vie di fuga illusorie per combattere la sempre più diffusa fatica di vivere. L'interesse sta nel fatto che il tentativo di fuga diventa fenomeno di massa, segno inequivocabile, anche questo, che l'uomo comincia a non poterne più del capitalismo.
2002: La
dimora dell'uomo
2005: Una
vita senza senso
Ai rubinetti del gas
Si dice, scherzando, per qualcuno che sia in situazione disperata. In effetti la disputa fra Russia e Ucraina sulle forniture e i prezzi del gas siberiano ricorda un classico contenzioso da coperta stretta, di fine di un'epoca in cui si poteva produrre di più ed accrescere il monte-plusvalore esistente. Adesso l'affaire russo-ucraino ha amplificato per un momento l'angoscia globale, già di per sé piuttosto profonda, rispetto alla sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime ed energia. Il capitalismo si riscopre a tratti strutturato per un'abbondanza infinita di materie prime mentre in realtà il pianeta è un elemento finito del sistema. La coperta tirata dall'uno scopre inevitabilmente i fianchi dell'altro. Prezzi alti e progressivo venir meno dei soliti accordi-cuscinetto hanno reso l'economia globale totalmente vulnerabile al disfacimento dei precedenti equilibri. Persino disastri naturali come l'uragano Katrina hanno effetti sociali quanto e più delle beghe politiche come quella fra Russia e Ucraina. E comunque la serie delle coperte strette si sta facendo lunga: Ucraina, Russia, Georgia, Libano, Kirghizistan, Uzbekistan... Il nervosismo è spontaneamente accresciuto quando alle questioni economiche si associano quelle di "dignità" o "sovranità" nazionale, per cui si corre ai rubinetti del gas e anche ai grilletti dei fucili. Putin ha chiaramente una mano sul rubinetto e l'altra sul grilletto, mentre Chàvez gli fa eco dal Venezuela proponendo nientemeno di usare il petrolio come arma anti-USA al fine di diffondere la "rivoluzione bolivariana". Tutto ciò mentre gli economisti tremano al pensiero di quel che potrà succedere quando le risorse energetiche saranno attaccate massicciamente dallo sviluppo di India e Cina. Cosa che succederà proprio mentre il declino economico, politico e militare degli Stati Uniti sarà ben più avanzato di oggi. E si sa, quando i gatti non stanno tanto bene i topi ballano: in altri tempi un qualsiasi Chàvez sarebbe stato spazzato via in un baleno e un Putin costretto a miti consigli.